L’INTERVISTA Emerson Fittipaldi in F.1 vincono gli ingegneri prima dei piloti

Testo e foto MARCO FERRERO

 

Chiacchierata a tutto tondo con una icona della F.1 come Emerson Fittipaldi che parla delle corse di oggi, quelle di ieri e dei rivali di sempre con un occhio al figlio piccolo che stupisce in F.Regional

 

All’International GT Open del Paul Ricard la sorpresa di incontrare Emerson Fittipaldi, due volte campione del mondo di Formula 1 (1972 e 1974), al seguito del figlio Emerson Jr. impegnato nel Formula Regional European Championship by Alpine, un’occasione imperdibile non solo per scambiare quattro chiacchiere con lui e condividere alcuni dei suoi ricordi ma anche per comprendere come un campione del passato “veda” il motorsport di oggi.

D: tu che hai corso tanti anni in Formula 1, come “vedi” la Formula 1 di oggi rispetto a quella di quando correvi tu?

R: la Formula 1 di oggi è una Formula 1 con moltissima tecnologia “on board”, molta elettronica, è il futuro, e che fanno “challenge” diverso per pilota; perché il pilota di Formula 1 adesso deve capire molto le analisi , perché uno gira con Formula 1 sul circuito adesso, e ci sono tante informazioni per il pilota, e adesso c’é tutta la telemetria e le analisi. Per esempio: io sono sempre con McLaren, oggi a Budapest (ndr: si era a venerdì) hanno più o meno quaranta ingegneri a Woking in Inghilterra che ricevono tutte le informazioni del circuito da Budapest, loro fanno tutte le analisi in tempo reale, e ritornano a Budapest le informazioni parlando con altri venticinque ingegneri che sono nei paddock, e loro fanno un riassunto delle informazioni su dove si può migliorare la vettura ed il pilota, questo è un sistema molto futuristico, che questi ragazzi oggi devono avere un cervello irrazionale quando guidano con l’intuizione, ma molto razionale con tutte le informazioni. Sono piloti irrazionali, qualche volta, ma allo stesso tempo devono essere razionali, una cosa che ai miei tempi non c’era, e questa per I piloti è una sfida molto diversa, molto differente, per questo si arriva a cercare l’ultimo millesimo di secondo su una frenata, su una curva, c’è una tecnologia fantastica in Formula 1 oggi.

Il podio di Norris in Ungheria? Merito degli ingegneri McLaren

D: ai tempi in cui correvi tu, diciamo, era molto più il pilota che faceva a differenza, adesso invece è molto più la vettura…

R: adesso è ancora molto importante il pilota, perché se vedi tutte le squadre hanno un pilota molto competitivo e veloce e un secondo pilota che è meno “buono” … c’è una frase americana “when the flag is drop the bullshit stops”, più o meno “quando parte il grand prix vediamo i piloti che sono più bravi (ndr: la traduzione letterale sarebbe più colorita), subito”. Così ancora c’è il fattore pilota molto importante, tra loro e con la stessa squadra.

 

D: c’è una frase che ricorre, che dice che ai tempi in cui correvi nella tua generazione c’erano in pista più campioni, quando scendevi in pista come avversari avevi Stewart, Cevert, Peterson, Lauda, Regazzoni, Siffert, Reutemann, Mass, anche Hunt, eravate tutti molto forti, adesso si dice che in Formula 1 non c’è più questa generazione di campioni, ci sono due – tre piloti bravissimi e poi gli altri molto meno competitivi. Sei d’accordo con questa affermazione?

R: è difficile essere molto analitici per potere esprimere questo tipo di giudizio, sono tempi diversi, macchine diverse, ma credo che se prendessimo i cinque – sei migliori di adesso e li mettessimo su una vettura degli anni ’70, anche se magari difficile, loro sarebbero bravissimi, di sicuro. Louis Hamilton, Max Verstappen, ci sono tanti piloti bravi adesso, sicuramente Charles Leclerc, Lando Norris, sono bravissimi, ci sono giovani bravissimi che arrivano; è davvero un paragone veramente molto difficile, ad essere onesto.

Uno dei rivali di Fittipaldi, che era a fine carriera, Carlos Reutemann

D: nei tuoi ricordi direi non può mancare Indianapolis, che hai vinto due volte; che sensazioni si prova a correre la 500 Miglia di Indianapolis?

R: è una cosa difficile da spiegare alla gente che non è mai stata là, il primo anno che ci sono andato, nel 1984, quando nei box ho scelto la benzina per la corsa ho guardato quel chilometro e mezzo di pubblico, con tutta la cerimonia per il Memorial Weekend, con l’esercito, la forza aerea americana, la marina americana, una gara con una storia di più di cento anni di corse, è veramente impressionante! Perché è una tradizione americana che è stata inventata per caso, quando Carl Fisher ha costruito un ovale per testare gli accessori che lui faceva per Henry Ford, e dopo hanno avuto l’idea di provare la resistenza delle vetture, degli accessori, è si sono chiesti “perché non fare una corsa molto lunga a Indianapolis?”, nel 1911, pensa una corsa di 800 chilometri , che sarebbe lunga anche adesso… è una tradizione americana, una pista meravigliosa, quattro curve velocissime, o al pilota piace molto o per nulla, come si dice “si ama o si odia”. Quando sono entrato in Lotus ho parlato con Jochen Rindt, poco prima dell’incidente di Monza dove è morto, perché lui aveva fatto una prova a Indianapolis, e lui mi ha detto “it’a shit place! I’ll never go back there (ndr: è un posto di m…a! Non ci ritornerò più). Ho poi parlato con Colin Chapman, il nostro caposquadra, a Colin piaceva molto, ci ha vinto con Jim Clark, era stata una bella vittoria, prima volta di un team straniero, di un pilota straniero, che vinceva a Indianapolis. Anche a Jackie Stewart piaceva Indianapolis, anche a Graham Hill piaceva ma, come ho detto, o la si ama o la si odia.

D: tra i tanti avversari che hai incontrato nella tua lunghissima carriera qual è stato il più forte, il più difficile da incontrare e battere?

R: nei primi anni di Formula 1 sicuramente Jackie Stewart, lui era di un livello incredibile, quasi imbattibile, dopo ho incontrato altri campioni di un livello molto simile, ognuno di loro aveva magari un vantaggio su un certo circuito, o più veloce o più lento, è difficile dire un nome solo, ci sono stati almeno sette – otto piloti molto difficili da battere. Quando sono andato in America sicuramente posso dire Mario Andretti, pilota velocissimo, poi anche Al Unser, Bobby Unser, che erano della generazione precedente alla mia ma erano bravissimi, Ricky Mears, che era il re degli ovali, e dopo anche Nigel Mansell, quando è arrivato in America, che è stato bravissimo.

D: la tua vittoria più bella, quella che ricordi con più emozione?

R: sicuramente Monza, nel 1972, quando ho vinto il primo mondiale. E’ stato per me come un sogno, vincere il mondiale a Monza, che è la storia, è stato meraviglioso.

 

D: un’ultima domanda: qual’è la caratteristica migliore, come pilota, ad oggi di tuo figlio Emerson jr a tuo parere?

R: è molto bravo e veloce nelle curve veloci…

 

Con una persona come Emerson si rimarrebbe a parlare per ore, tante sono le cose che avrebbe da raccontare e tanti i giudizi che con autorevolezza porrebbe esprimere; nel ringraziarlo per la sua cortesia e la sua disponibilità ci si augura di avere altre occasioni per capire un mondo, come quello del motorsport, che solo chi come lui ha vissuto sia come pilota che come uomo può spiegare.

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