IL RICORDO DI NESTORE MOROSINI

DI BIANCA CARRETTO PER CORRIERE DELLA SERA

Oggi c’é una notizia, una di quelle che non vorremmo mai dare perché troppo dolorosa: Nestore Morosini non c’é più, é mancato stanotte per le conseguenze del Covid, il 31 ottobre aveva compiuto 83 anni. In quest’alba penso a tutti gli anni che ho condiviso con lui, non ricordo quanti, forse 40 o forse più.  La prima volta che sono entrata al Corriere della Sera, in tailleur e filo di perle, chiesi in portineria  che volevo parlare con il responsabile dello sport. Un tempo i motori, all’interno dei giornali non avevano una loro identità, mi dissero di andare in redazione, al piano terra, un’immensa stanza, dove 30/40 persone fumavano, qualcuno con la sigaretta in mano mi indicò Morosini.

Era appena tornato dal Brasile dove aveva seguito la Formula 1, indossava una maglietta con un grande pappagallo  colorato, mi dedicò pochi minuti era impegnato nella stesura delle pagine. Uscii in Via Solferino pensando che con un personaggio simile non avrei potuto trovare alcuna empatia, eravamo così diversi! Invece é nato un rapporto che , negli anni, si é tramutato in affetto, in stima reciproca. Nestore era caotico, confusionario ma amava il suo lavoro in un modo viscerale, amava le auto, il mondo della Formula 1, il calcio, la Ferrari e, sopratutto, il Corriere della Sera.

Aveva mille interessi, con la curiosità di un giornalista vero, componeva di getto, non leggeva le cartelle stampa, dall’Argentina scrisse un bellissimo articolo sui desaparecidos, dal Brasile pubblicò le poesie di Benjamin Moloise che dopo pochi giorni  venne ucciso. Alle Olimpiadi di Monaco, nel 1972, dopo il massacro terroristico, si fece dare una tuta da un giocatore di basket ed entrò nel villaggio per fare la cronaca, in diretta.  Non posso non ricordare la telefonata che mi fece quando il giornale decise che i motori avrebbero avuto una loro pagina settimanale dedicata, era una sua vittoria. Aveva dato ai motori  un’ufficialità, un blasone e il Corriere inaugurava la strada che dopo tutti gli altri quotidiani avrebbero intrapreso, non solo in Italia.

Era travolgente, cercava la notizia, aveva fiuto, era un’apripista, sapeva tenere i rapporti con tutte le scale gerarchiche delle varie aziende, era rispettato non solo perché rappresentava il quotidiano più importante italiano ma perché nella sua professionalità vi era sempre un’anima. Abbiamo  anche litigato, discusso, io sostenevo le mie tesi e gli tenevo testa, ho visto crescere le sue figlie che hanno l’età delle mie, ho partecipato alla  sua vita anche famigliare. E’ stato una colonna portante per il Corriere, quando ha lasciato, ho capito che soffriva, ho continuato a raccontargli il mondo dei motori che non aveva più nulla a che fare con il mondo che lui aveva conosciuto.

Ci siamo sentiti tre giorni fa, la voce mi pareva più ferma, Ivana, la sua Ivana, mi aveva detto che il medico l’aveva rassicurata, invece questo virus maledetto lavorava, in modo subdolo, all’interno del suo corpo che ha deciso di arrendersi.

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