Marchionne e il sogno F.1, vincere con Ferrari e rivedere Alfa Romeo e Maserati

 

L’arrivo alla presidenza della Ferrari, il mio rapporto personale e alcuni retroscena che fanno capire meglio chi era Marchionne 

 

 

Sergio Marchionne è stato catapultato alla presidenza della Ferrari dopo la parentesi Montezemolo, che nel corso degli anni ha portato successi e titoli mondiali. Dopo la stagione, disastrosa, del 2014, occorreva un colpo di mano e prendendo sia la presidenza che l’amministrazione Marchionne divenne il capo assoluto a Maranello. Come al solito adattò il suo metodo, ovvero vedere da vicino come funzionava la squadra, controllare i conti e avere il polso della situazione. Arrivava a Maranello molto presto, all’improvviso, si chiudeva nella sua stanzetta, nemmeno troppo grande o appariscente, e controllava tutto, girava per il reparto corse, parlava, si informava. Fu sua la scommessa di giocare la carta dei giovani ingegneri della Ferrari.”Abbiamo dei numeri 2 che possono diventare dei numeri 1 ma per farlo bisogna promuoverli”. E lo fece. La generazione dei Binotto, Resta e gli altri del settore aerodinamica, come Cardile, e altri ancora furono la sua scommessa.

 

Rinunciò ai grossi nomi, fece andare via Allison e altri inglesi di prestigio, scommise sugli italiani. In pochi misero la mano sul fuoco perché era più facile sbagliarla che indovinarla una mossa del genere. Ha avuto ragione, come la ebbe con lo staff di 200 ragazzi che in un capannone di Modena, della Maserati, studiarono la Giulia, la Stelvio e altro ancora. Fece ritardare la messa in produzione della Giulia perché non gli piaceva così come era stata concepita. Fece di meglio, con un salto di qualità enorme. Amava guidare, anche in pista, infatti ogni tanto scendeva a Fiorano a darci dentro con la Ferrari del momento. In Svizzera, una volta, distrusse una rossa di Maranello e Montezemolo lo prese in giro dicendo che avevano fatto un crash test molto serio in prima persona. Marchionne ci rideva su: “Guardi, fare il pilota non è il mio mestiere, ma il mio carrozziere sarebbe felice se avvenisse…” e via con la sua risata rauca.

 

 

Oltre a Ferrari, gestita con piglio severo, aveva cominciato l’operazione Alfa Romeo. Lo fece a modo suo. Sauber non pagava i motori, invece che metterli sul lastrico, la fece diventare una sorta di junior team e la stessa cosa aveva in mente con la Haas, a settembre doveva essere annunciata l’operazione Maserati, a questo punto non si sa se le due cose andranno avanti o se si fermerà tutto. Perché essere in F.1 con tre marchi prestigiosi come Ferrari, Maserati e Alfa Romeo, avrebbe dato un peso politico di altissimo livello, altro che Mercedes con la Force India, tanto per dire. A un pranzo di Natale (Montezemolo preferiva la cena, Marchionne preferiva di giorno con la luce del sole) a quattr’occhi gli dissi che mi aveva stupito per le scelte fatte, di come sapesse dove mettere le mani: “Sorpreso vero? Lo sono rimasti in tanti, ma prima di agire mi ero informato bene, ho studiato, non agisco a caso, ma sono contento che lei abbia apprezzato e capito che non erano voli pindarici ma azioni studiate a tavolino… Sa ho qualche buon informatore all’interno della Ferrari”.

 

Aveva chiesto un supporto media per la Giulia: “Aiutateci ne va del lavoro di molte famiglie, vi garantisco che il prodotto ne vale la pena. Anzi, perché non ne compra una?“. Risposi dicendo che da guidare era stupenda, fantastica, peccava negli interni rispetto alle tedesche: “Ma che caz.. me ne frega a me degli interni, mica la devo vendere per quello, io la devo vendere perché è una vettura da guidare, godibile, mica come le tedesche, su questo devo puntare. Se devo fare le stesse cose dei tedeschi, mi costa 20 mila euro in più e non me la compra nessuno…”.

 

Alla Giulia organizzammo un premio in piazza a Monza in occasione del GP di Monza, tre premi assoluti: vettura dell’anno, per lo spazio interno e la dinamicità. Il responsabile dell’epoca, Fabrizio Curci, tornò a Torino carico di premi. Li fece vedere a Marchionne, che rispose: “Belli, ma quante macchine abbiamo venduto in più?” e Curci lasciò cadere le mani lungo i fianchi. Lo incontrai poi ancora ad altri GP e a presentazioni stampa, come al lancio della Tipo: “Grazie per il supporto, belli i premi e l’idea, davvero, ma se non vendo la macchina è tutto inutile”. Si era ricordato, come si era ricordato, nel lontano 2006, di un episodio molto personale. Era morta da poco mia madre e nei box di un GP immediatamente seguente, alcuni meccanici della Ferrari, amici da tempo, mi fecero le condoglianze, con Todt che li vide e li redarguì pesantemente perché stavano parlando con un giornalista.

 

 

Lo dissi a Marchionne al GP del Belgio, lamentando il fatto che invece di fare le condoglianze, se la fosse presa con dei ragazzi che non c’entravano niente “intanto le chiedo scusa a nome della Ferrari e le faccio le condoglianze, per i ragazzi non si preoccupi, ci penso io e mi informi se per caso succede ancora…” Pensavo fossero frasi di circostanza, invece mi chiedeva sempre come andava, poi scoprii che leggeva Il Centro, il quotidiano abruzzese per il quale scrivevo. Era amico e tifoso di Trulli, gli sarebbe piaciuto portarlo alla Ferrari e infatti Todt chiamò Jarno ma era già sotto contratto con Toyota e l’offerta era per un anno solo. La cosa non andò in porto.

 

Già il fatto che leggesse pure i giornali locali, seppure abruzzesi, mi sorprese. Come rimasi sorpreso l’anno scorso a Monza. La qualifica era andata malaccio, lo incrociai nel paddock che stava tornando al motor home. Lo guardai in faccia e feci l’espressione tipica di quando le cose vanno male alzando le spalle. Mi guardò. Passò via. Poi si fermò e si girò: “Ah Ciccarone, volevo farle i complimenti per l’articolo di oggi, mi è piaciuto molto, davvero molto bello, me lo sono proprio goduto”. Ringraziai farfulliando, rimasi senza parole con Stefano Lai, responsabile ufficio stampa Ferrari, col quale ogni tanto ci siamo beccati in passato, che disse: “Pensa un po’ che sacrificio mi tocca fare, fargli leggere i tuoi articoli e farti fare pure i complimenti…” Era una battuta, alla quale risposi: “Pensa che dobbiamo tutti morire, per cui non vale la pena stare qui a menarla con queste baggianate, esiste qualcosa di più serio e grande”.

 

Eh sì, su questo hai ragione disse Lai. A distanza di 10 mesi quella frase rimbomba in testa e i ricordi si accavallano, i vari momenti di incontro, dalla prima volta in Sicilia a una presentazione Alfa Romeo, proprio nel giorno del suo compleanno, alle mezze frasi e confidenze: “Stia tranquillo che fra poco Todt non darà più fastidio se ne andrà a fare il presidente della FIA” mi disse. Io lo scrissi e Todt mi aggredì in conferenza stampa: “Ciccarone, ma quando la smette di scrivere stronzate?”. E io, di rimando e pure incosciente: “Nel momento in cui lei signor Todt smette di farle…”.

 

E poi la stima per Domenicali, col quale si sentiva spesso e che avrebbe voluto far tornare nel gruppo :”Grande persona Stefano, mi spiace che sia dai nostri rivali, ma non dispero di portarlo a casa”. Ecco, poteva essere l’altra sua grande scommessa, come quella Alfa Romeo e Maserati, quel titolo mondiale Ferrari che voleva a tutti i costi. Ma non è andata così, la parola fine è arrivata nel momento meno previsto, come sempre accade quando la vita vera decide per conto proprio il destino di un uomo.

 

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