F1 Ricordando Stefan Bellof e quel 1 settembre maledetto

Testo e foto GIUSEPPE MAGNI

 

E’ una bellissima giornata qui a Monza, piena di sole e di azione in pista, anche se non corroborata dalla presenza del pubblico delle grandi occasioni. Sarà questo velo di amarezza, accompagnato dalla leggera malinconia data dalla brezza che si fa ogni giorno più fresca, accompagnandoci verso l’autunno, che fa venire alla mente un ricordo un po’ triste, di un personaggio, un grandissimo campione che ci ha lasciati il primo settembre di 38 anni fa. Era un giovane tedesco, di Giessen, Germania centro occidentale, che aveva dichiarato guerra alle leggi della fisica, della chimica, e anche del buon senso. Era un campione, un pilota che, seppur giovane, esaltava già le folle degli appassionati, che rivedevano in lui tanti tratti di un altro scriteriato, un altro pazzo scatenato, che era piccolo di statura e veniva dal Canada.

Stefan Bellof aveva deciso di superare Jacky Ickx proprio lì, a casa sua, nel punto più difficile della pista che proprio il pilota belga aveva fortemente voluto modificare, dopo l’abbandono voluto dalla GPDA nel 1970.

Non è che l’avesse deciso, glielo dettò l’istinto, quella irrefrenabile voglia di velocità, quell’ansia, quella sete inestinguibile di essere sempre il primo davanti a tutti. Non credo che ce l’avesse particolarmente con Jacky. Solo che lui, in quel momento, rappresentava un ostacolo, un’ombra sulla sua voglia irrefrenabile di luce piena, quella, accecante, che lo avrebbe illuminato, lo avrebbe riscaldato in cima al Raidillon.

Avevamo scattato alcune foto di lui e con lui alla 1000 chilometri di Monza dell’aprile precedente, dopo che l’avevamo applaudito vincitore della stessa gara l’anno prima sulla Porsche ufficiale. Questo biondino tedesco, timido, schivo al limite della scontrosità, aveva accettato di posare con noi, non senza un certo disagio. Erano foto da pellicola, di quelle che bisognava andare dal fotografo a farle sviluppare e stampare. Fortunatamente erano venute mica male, tant’è che avevamo deciso di far stampare degli ingrandimenti 30 per 45. “Così, a settembre, quando torneremo a Monza per il Gran Premio d’Italia, gliele faremo autografare” pensammo. Infatti, quella domenica mattina era tutto pronto, foto ingrandite e pennarello. La settimana dopo saremmo venuti nel Tempio della Velocità e avremmo tentato di incontrarlo.

Poi, la notizia… Lui aveva deciso altrimenti. O, forse, era decisamente troppo oltre, troppo forte, perché il suo talento cristallino, quello che gli aveva fatto stampare il leggendario 6’11’13 sulla Nordschleife del Nurburgring, potesse continuare a doversi esprimere in mezzo a dei comuni mortali. Lui, di mortale, non aveva proprio nulla. Era talmente bello, talmente puro nella sua feroce espressione agonistica, che stonava, c’entrava poco con le piste, con i piloti, con i circuiti di quaggiù.

Ci rimanemmo male, sulle prime. Incorniciammo melanconicamente le foto ingrandite con un suo autografo che ci aveva vergato su dei piccoli fogli a quadretti di un blocchetto che avevamo sempre con noi. Ma poi, dopo un po’ tornammo sereni. Immaginammo il suo sorriso, divenuto solare ed aperto sotto la trasparente balaclava, felice e grato a chi l’aveva voluto su piste più alte, più impegnative e più difficili, sfidare i più duri dei duri, gli eroi degli anni ruggenti, quella razza a cui la vita sembrava non interessare, forse perché la vita era questa, quella di questa terra, mentre invece loro sapevano, loro puntavano già ad un’altra, altrove, là dove sono ora, dove corrono sempre e comunque, felici di sfidarsi per l’eternità…

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