F.1 ricordando “Black” Jack Brabham, da pilota a costruttore vincitore di titoli mondiali

DI GIUSEPPE MAGNI

Così come in tutti gli altri campi dell’umano vivere, anche nell’automobilismo da corsa esistono alcuni personaggi che hanno avuto la grande capacità di emergere, nonostante le numerose contrarietà che la vita ha posto loro, di volta in volta, davanti.
John Arthur Brabham, detto Jack, può davvero essere considerato uno di questi. A cominciare da quando andava ad una scuola tecnica, che fu costretto ad abbandonare per trovare lavoro. Poi, quando si arruolò nella Aviazione australiana, sognando di diventare pilota, finì per fare il semplice meccanico.

ALLA COOPER VOLEVA LA F1, GLI FACEVANO GUIDARE I CAMION

Perfino i suoi primi approcci con la Cooper, Casa con cui vinse poi un titolo mondiale di F.1, non furono certo quelli sperati: lui sognava, anche qui, di fare il pilota, ma loro, i Cooper, sulle prime gli fecero guidare solo il camion per portare le macchine da corsa sui circuiti! A lui, al grande Black Jack! Avrebbe avuto modo poi di rifarsi abbondantemente dello sberleffo, ma lì per lì, non deve essere stato facile. Così come non deve essere stato semplice spiegare al suo primo sponsor, la Redex, una compagnia petrolifera, che il suo marchio non poteva apparire sulle fiancate della vettura, perché la Confederazione del motorsport australiano diede parere contrario. Questo nel 1953, dopo che, cinque anni prima, si era messo a correre, quasi controvoglia, sostituendo nelle gare midget australiane un suo amico americano, che, dapprima chiese a Black Jack di costruirgli una macchina per quelle gare, poi le abbandonò, costretto dalla moglie.

DAI CANGURI ALLE MIDGET LA CARRIERA DI BLACK JACK

Che non finiremo mai di ringraziare, perché John Arthur, non avendo voglia di correre, ma ritrovandosi tra le mani la macchina costruita apposta per l’amico, decise di provarci lui stesso. Si vede che ci sapeva fare, perché vinse già alla terza gara!
Ma nemmeno i suoi primi esordi in F.1 furono certo facili: la sua prima Cooper se la assemblò da solo, i precedenti lavori come meccanico tornarono utili, ma si qualificò solo ultimo al GP di Gran Bretagna 1955. E, in gara, si ritirò. L’anno dopo ci riprovò con una Maserati, sempre ultimo in qualifica e altro ritiro in gara. Anche quando, nel 1957, la Cooper gli affidò una nuova T43 a motore posteriore, al primo GP della stagione a Monaco, fu buonissimo terzo, fino a che la pompa di iniezione lo abbandonò e fu costretto a spingere la monoposto fino al traguardo, giungendo sesto.

SPINGERE SEMPRE ERA QUESTO IL SUO MOTTO, A MONACO DA SPETTACOLO

Spingere. Spingere. E sempre spingere, contro tutto e contro tutti, senza mollare mai. Sembra essere stato questo il leit motiv della vita del nostro campione. Per tutto il resto della stagione non ebbe miglior sorte. Sembrava proprio non voler girare dalla sua parte, la fortuna! Ma Black Jack non si diede certo per vinto. La sua scorza dura continuò ad imporgli di insistere, fino a che, nel 1959, quando tutto il mondo aspettava di acclamare Stirling Moss campione mondiale di F.1, emerse lui, che, con un podio in Italia, conquista il campionato più ambito dell’automobilismo sportivo. Con il secondo titolo, conquistato subito nel 1960, sembrò che le traversie del nostro John Arthur fossero finite.

DALLA CRISI ALLA RESURREZIONE, SEI ANNI DI DIGIUNI

Macché! Da lì e per 6 anni fu crisi nera, nessuna soddisfazione personale. Erano gli anni dell’incommensurabile Jim Clark, un fuoriclasse come ce ne sono stati pochissimi. Fu durissima per tutti contrastare il talento scozzese. Fu proprio in questi anni che, invece che darsi per vinto, fonda la Casa automobilistica da corsa che portava il suo nome, la Brabham. Con la quale sembrò  risollevarsi, fino ad arrivare ad un altro clamoroso, inaspettato titolo mondiale nel 1966, aiutato dalla inusitata e sciagurata decisione del diesse Ferrari Eugenio Dragoni di allontanare John Surtees, naturale favorito per il titolo, dalla Scuderia Ferrari.

NASCE LA BRABHAM MA VINCE HULME!

Neanche il tempo di gioire, che l’anno dopo, fu addirittura il compagno di squadra Denis Clive Hulme a portargli via il titolo! Con la Brabham! Altra traversia, altra scoppola… Con il neozelandese allontanato dalla squadra.
Una vita davvero sempre in salita, quella di Black Jack. L’ho incontrato una volta a Montecarlo, stava fermo sul marciapiede ad un incrocio, nella zona che, dalla curva del circuito Anthony Noghes, sale verso Place d’Armes. Era immobile, accigliato, serissimo. Il suo atteggiamento e la sua corpulenza incutevano davvero timore. I più nemmeno lo riconobbero, ma neppure io, seppur gasato ed emozionato per tale incredibile incontro, osai chiedergli una foto o un autografo, nonostante tentai cautamente di avvicinarmi.

NIENTE AUTOGRAFI BASTò LO SGUARDO FEROCE

Bastò uno sguardo di Black Jack per farmi desistere. Non sono nemmeno sicuro che mi vide, probabilmente era arrabbiato per fatti suoi, ma quella occhiata mi fece paura. Rimasi lì, impietrito, quasi che qualsiasi altro mio movimento potesse scatenare le ire del campione di Sidney. Se ne andò a piedi, giù per Rue de Millo. Mi avvicinai con circospezione all’angolo, per osservarlo camminare, per capire se potesse essersi in qualche modo calmato, così da poterlo avvicinare. Desistetti. Troppo cupo l’atteggiamento e nessuno sguardo indietro per potere valutare una opportunità. Non lo seguii. E me ne pentii. Quasi sicuramente non ce l’aveva con me. Magari con John Cooper, o con Dan Gurney. Oppure con Denny Hulme.

AVVERSARI DURISSIMI MA IL NOME BRABHAM HA VINTO ALTRI MONDIALI F.1

Personaggi duri, durissimi, con cui aveva avuto a che fare. Ma che non gli avevano impedito di conquistare tre titoli mondiali, uno dei quali, addirittura su una macchina da lui costruita e che portava il suo nome. Soddisfazione mai riservata a nessun altro, nella storia della F.1. Perché, evidentemente, Black Jack se la seppe meritare, con la fatica, la determinazione, la perseveranza, l’insistenza, la voglia di ripartire, il coraggio di fare fronte sempre a qualsiasi traversia. Grazie, Sir John Arthur Brabham. Nessuno come te ci ha saputo insegnare che nello sport, come nella vita, solo chi l’ha dura la vince. E non si molla! Mai! Non come il sottoscritto, troppo pavido quel giorno, all’angolo tra Rue Grimaldi e Rue de Millo…

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