Il petrolio crolla, la benzina no: ecco perché in Italia è ancora troppo cara

DI ALFONSO RAGO PER AUTOMOTO.IT

In Texas hanno poco da stare allegri: il Wti (il greggio prodotto da quelle parti, utilizzato come riferimento per il mercato americano) vale meno di una Coca Cola ghiacciata, visto che per un barile basta mettere sul bancone un dollaro, e si prendono anche alcuni spiccioli di resto.

Il valore del greggio è in flessione costante, ormai prossima al 95%, che nella realtà diventa assurdamente negativa: i barili che saranno estratti a maggio vengono offerti a -37,63 dollari.

Vale a dire, che se lo compri ti pagano anche; e neppure poco.

Ce n’è quanto basta per aspettarsi da quest’altra parte dell’Oceano manifestazioni di gioia sfrenata ai distributori; eppure… non è così.

Qui da noi i prezzi di benzina e gasolio alla pompa sono certo scesi, ma non crollati: nell’ordine dei venti centesimi al litro, ben inferiore al 10% del totale.

Un valore importante ma non certo allineato al crollo della materia prima.

In verità, non c’è alcun mistero: dietro la tenuta delle quotazioni dei lubrificanti ci sono precise ragioni fiscali, che si sommano alle politiche di prezzo praticate dalle Case petrolifere.

Nel determinare il prezzo di un litro di carburante, la materia prima, il petrolio appunto, incide in maniera piuttosto marginale, all’incirca per il 30%; a concorrera al valore finale si aggiungono il carico decisivo delle accise (che valgono quasi il 50%) e poi l’IVA, parametri non soggetti ad oscillazioni: ecco perché il prezzo della benzina non scende in maniera speculare a quello del petrolio.

Inoltre, la crisi in atto, con il traffico privato di fatto quasi azzerato e la stragrande maggioranza dei veicoli fermi, ha sensibilmente ridotto la quantità di carburante erogata dai gestori, a fronte di costi fissi pressoché invariati, come nel caso del personale e della manutenzione delle strutture.

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