F.1 GP EMILIA ROMAGNA Il giro secco in qualifica e la differenza fra piloti e autisti…

TESTO E FOTO DI GIUSEPPE MAGNI

Qualifiche. Giro secco. In un’ora, cinque o sei tentativi ciascuno, per battere sé stessi, per stare davanti a tutti gli altri, per sfidare ripetutamente il cronometro, in una lotta temeraria, sfrontata, feroce, straziante per i mezzi, sentenza inappellabile per i piloti. Lo scenario non è una banale autostrada, dove la tenzone velocistica sarebbe più agevole.

Siamo sulle rive di un fiume, il Santerno, non seduti, ma nervosamente in piedi, ad ammirare, un po’ tesi, un po’ estasiati, un nastro d’asfalto che scorre accanto al fiume, lungo una sinusoide denominata Tamburello, fino ad un’altra, che si chiama Villeneuve, per proseguire verso un abbacinante tornante, in salita, la Tosa. Metri di nostra Madre Terra non certo nuovi a queste sfide dove la velocità è il prodotto del coraggio, delle abilità, del cuore e del talento.

Oggi sono di scena qui i migliori piloti del pianeta, quelli della Formula 1, quelli che le automobili le sanno dominare meglio di qualsiasi altro essere umano al mondo. Dopo il primo giro di riscaldamento, ecco i primi passaggi veloci, dove i recalcitranti bolidi, lanciati allo spasimo dentro la esse Villenueve, sprigionano dal fondo schizzanti scintille, quasi a ribellarsi alla forza dei piloti, che li stanno attorcigliando sulla doppia curva, divorandosi il cordolo, smanettando sui cambi e pestando sui freni solo all’ultimissimo secondo, quasi dentro la seconda piega.

Nonostante protetti da caschi multicolori, sembra di vederli in faccia questi ragazzi meravigliosi, protesi nel massimo sforzo, spingere a più non posso sull’acceleratore, anche quando l’istinto di conservazione consiglierebbe il contrario, lanciando le loro multicolori monoposto verso il tornante, che si intravede, laggiù in fondo. Per un attimo, la frenesia sembra avere quiete, ma è solo un’illusione, perché poi bisogna spingere, su, su, verso la Piratella, che non la vedi arrivare mai, ma sai che c’è, e devi darle del lei, perché se no ti tradisce, ti fa perdere tempo e fare brutte figure.

Perché qui siamo a Imola, o si sale o si scende, quasi sempre in piega, quasi sempre aggrappati a quella cloche, che tanto amiamo quanto stringiamo, tormentando levette e pulsanti, nel tentativo sempre più estremo di battere la forza centrifuga, la forza di gravità, di battere sé stessi, di battere tutti gli altri, di sfidare sempre di più il cronometro, che scorre sempre beffardo. C’è chi appare poco più flemmatico, più fluido, più pulito, nelle traiettorie e nei movimenti, propri e della macchina, come Vettel o come Sainz, c’è chi invece la conduce di forza bruta, di cattiveria e ferocia agonistica ringhiante, come Norris e come Perez, come Verstappen e Gasly, aumentando a dismisura lo sprigionare di scintille, che non fa recedere di un millimetro lo scatenato animale al volante.

C’è chi poi pare giocare, con i freni e con il cambio, passando velocissimo, ma armonioso, quasi che la fiera da mille cavalli lo sapesse, che tanto è più forte lui, Lewis Hamilton. Tanto vale assecondarlo, val la pena andargli dietro, mica che poi si arrabbi davvero e cominci a trattarmi male, a scuotermi e a tirarmi, di qua e di là su queste colline, che sembran dolci e tanto carine, se non dovessimo sfidarle in questo crescendo rossiniano di velocità e di ardimento, di ansia di superamento, di ardore e di calore, che ci vuole in queste giornate di aria fredda e ci fa stare bene. Loro, i piloti, in pista e noi qui fuori, a contare le scintille, a gustare le pennellate, ad apprezzare le sterzate, ma soprattutto a riscaldarci del loro cuore.

Qualifiche. Giro secco. Una singolar tenzone di cui spero non ci privino. Perché è il massimo della adrenalina e del sublime spasimo, della velocità e del godimento. Sono sempre stato felice, al sabato pomeriggio: lo spettacolo è al top e mi tratterrei in eterno, su questi dolci declivi, qui, oggi, sul Santerno…

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