IL TRIONFO DI VERGNE E I MOMENTI PIU’ INTENSI

 

Con la vittoria di Jean Eric Vergne il Campionato del Mondo di Formula E chiude il sipario sulla sua quinta edizione, una serie entusiasmante, che ha fatto di incertezza ed equilibrio le sue peculiarità e nella quale, sino all’ultimo giro dell’ultima gara, i giochi per la vittoria erano aperti. 

Come in tutti i campionati contrassegnati da queste caratteristiche si potrà discutere all’infinito sul suo andamento e su “se” e sui “ma” che ne hanno caratterizzato le gare, ma alla fine è il risultato finale quello su cui vanno fatte le valutazioni; non ha certamente vinto il pilota più regolare, questo si, ma quello che ha vinto il maggior numero di gare, tre in una serie di tredici che per le prime otto ha visto otto vincitori diversi, quello più cinico, che nel momento decisivo della stagione ha “piazzato” un paio di colpi da ko, salvo poi mancare clamorosamente il match ball che avrebbe chiuso il campionato. 

Ha vinto uno dei piloti più esperti ed intelligenti, quello che da buona formichina magari nel corso della stagione ha saputo talora accontentarsi di qualche punticino senza rischiare oltre il dovuto, a scapito di chi, con una tattica da “tutto o niente”, ha sì entusiasmato ma è alla fine rimasto dietro (per referenze chiedere a Frijns, pilota che genera emozioni ed entusiasmo ma che talora rimane a bocca asciutta). 

 

 
Lui, campione in carica, partito con due ottimi piazzamenti per poi ottenere tre battute a vuoto consecutive, zitto zitto e testa bassa ha tenuto, sornione, un “basso profilo” sino al momento in cui, dotato di quel killer istinct che caratterizza i campioni, ha piazzato tre gare, due vittorie ed un terzo posto, che hanno quasi chiuso il campionato. 

Un successo giunto di fatto all’ultimo giro dell’ultima gara, in un weekend per il francese costellato da mille problemi, nel quale la sua vettura non è sembrata, proprio nel momento decisivo, supportarlo a dovere, nel quale nelle qualifiche, che vede i piloti partire a gruppi stante l’ordine di classifica con quelli al comando a fare da apripista, su una pista che si “gommava” poco e rimaneva insidiosa, gli schieramenti si sono rimescolati con le “seconde guide” a riempire le prime file, con il transalpino che è parso impacciato e poco a suo agio tra i menadri dell’area portuale di Brooklyn. 

Il podio finale di New York è stato giustamente, una festa; una festa per Vergne e la Techeetah, una festa per coloro i quali hanno assistito all’evento, una festa per lo sport dell’automobilismo; il podio finale, come sempre, un coacervo di emozioni hanno fatto cornice alla giusta ed inevitabile esultanza che accompagna il momento di alzare al cielo il trofeo della vittoria. 
Non solo, ma in questo contesto si sono evidenziati alcuni flash, alcuni brevi ma intensi momenti nei quali ci si ricorda che lo sport è fatto non solo da elementi tecnici ma soprattutto di persone e dei loro sentimenti; tra questi impossibile non rilevare la tenerezza che ha suscitato Lucas Di Grassi, meraviglioso professionista e papà dolcissimo, salito sul podio con in braccio il figlio Leonardo, un po’ frastornato in verità da quanto gli accadeva intorno. 

 

 
E che dire, di certo un gesto liberatorio di tutta la tensione accumulata nel lungo weekend ma anche un bel momento di condivisione delle propria gioia, dello spontaneo ed istintivo bacio che Vergne ha dato alla compagna ai piedi del podio, un gesto di certo al di fuori del protocollo, ma che ha riportato con i piedi per terra chi magari talora giudica alcuni atteggiamenti del pilota francese al di sopra delle righe, che ha reso onore a questo campione. 

Dal punto di vista di chi era dall’altra parte del podio, il momento del selfie dei piloti rimane, lo si consenta, un bel ricordo, un’occasione tangibile per poter dire “quel giorno c’ero anch’io”, un momento di condivisione della gioia dei piloti con quegli scatti che portano le immagini di quei momenti agli appassionati. 

Lasciato volontariamente come ultimo punto, e per questo simbolicamente più importante sotto l’aspetto sportivo, la presenza sul podio a premiare i campioni di oggi, del grande Emerson Fittipaldi, “el rato”, come veniva soprannominato, Campione del Mondo di Formula 1 nel 1972 e nel 1974, una presenza, oggi come allora quando era grande protagonista in pista, discreta ma allo stesso tempo quasi iconica ed attraente, sempre con quel suo sorriso simpatico, sempre con quel modo di fare semplice che lo ha reso campione anche fuori dalla pista.

 
Tutti questi elementi che, giustamente, hanno proposto e mescolato aspetti sportivi ed umani; a ben vedere, in fondo, il momento del trionfo sportivo altro non è che questo, l’esternazione di sentimenti…

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