F.1 GP MONACO Il dietro le quinte della gara dalla preparazione al traguardo

TESTO E FOTO DI GIUSEPPE MAGNI

 

Il grande giorno del Grand Prix de Monaco è nato sotto un caldo sole primaverile e si è protratto, fino a metà giornata, in una calma lenta, quasi stanca. Fotografi appostati in ogni dove dentro al paddock, ma pressoché disoccupati, frotte di ragazzi giovani e meno giovani aggrappati alle reti con cellulari e blocchetti in attesa di piloti, fino a dopo pranzo invisibili, assenti, tutti sapevano che erano da qualche parte, ma nessuno sapeva dove. I più intraprendenti provavano ad informarsi, ma le poche risposte parlavano di briefing tecnici interminabili, che sarebbero terminati ad un’ora imprecisata. Ma c’era qualcosa, nell’aria calda di metà giornata, qualche zaffata fredda, che lasciava presagire che il tempo sarebbe cambiato, che il ritmo sarebbe salito.

Infatti, dopo un frugale pasto gentilmente offertoci da un amico, è arrivata l’ora di incamminarci, di andare a verificare di persona se i briefing tecnici fossero terminati. Sì, era giunta l’ora in cui le chiacchiere ormai stavano a zero, ci si doveva muovere, si doveva passare all’azione.

I ragazzi delle crew stavano immobili attorno alle loro monoposto tirate a lucido in ogni minimo particolare, in attesa. Improvvisamente, ecco apparire il loro pilota, il loro sommo sacerdote, colui che sarebbe andato a celebrare il rito, colui che avrebbe rinverdito il mito. Preparazione lenta, studiata, quasi meditata. I  ragazzi sempre immobili, mentre il loro eroe si aggiusta opportunamente la tuta e si cala nell’abitacolo, con contorsioni che sembrano una danza. Una volta dentro, due ragazzi si chinano, lo assistono, quasi lo accarezzano, le ultime coccole prima di lasciarloalla ferocia della tenzone. Incrocio gli occhi dell’eroe, fissi, perduti in chissà quali pensieri di amore e di guerra, in una intensità che sa di immensità.

Mi sovvengono gli occhi di un altro eroe, che stava seduto nello stesso abitacolo un paio di decenni fa. Impossibile non commuoversi, non emozionarsi. Scappo via. Nel garage di fianco stessa scena. Un altro dei grandi protagonisti, plurivittorioso e plurititolato, si sta per accomodare al centro del suo altare scintillante, per avviarsi verso l’arena. Stesse mosse, stesse contorsioni, medesima armoniosa danza. Niente sguardi, niente sguardi persi lontano, l’elmo dell’eroe questa volta è nascosto dietro schermi impenetrabili.

L’ora fatidica sta per scoccare. Ci spostiamo dal centro dell’arena e ci accomodiamo sugli spalti, in mezzo ad una folla in felice attesa dello spettacolo. Inno nazionale. Tutti in piedi. La Principessa ed il Principe, elegantissimi, applaudono la banda che, a ritmo di marcetta, si allontana.

Non c’è più tempo per l’attesa, non c’è più tempo per perdersi in ricordi. Giù le visiere. E’ tempo di andare.

Giro di ricognizione. Le belve ringhiano, sembrano guardare il pubblico, in attesa di scatenare tutta la loro potenza, la loro incontenibile voglia di velocità. Alla partenza il tempo è ancora bello caldo e i primi due fanno presto il vuoto. Lo sfiorare la lama della barriera in uscita dalla curva della piscina è una sfida nella sfida. Qualcuno, durante le prove, ha pagato cara la troppa confidenza. Si odono frenate, si apprezzano cambiate, in una armonia corroborata da un profumo di carburante combusto, reso un pelo più acre dalla centrifuga delle turbine. Sopra le monoposto, si vede che lo spazio tra le ruote e il guardrail diminuisce progressivamente, qualcuno arriva addirittura a strappare con le ruote le pellicole pubblicitarie attaccate alla barriera stessa.

Arriva una fase in cui il secondo in classifica sembra in grado di avvicinare il battistrada, il cannibale che sta vincendo tutto quello che c’è da vincere. Il distacco diminuisce progressivamente, la sfida si fa elettrizzante.

Ma è solo una fase della tenzone. L’aria si è fatta più frizzante, ora. Dietro di noi il cielo si è coperto di nuvole grigie. Qualcuno dice che piove, ma noi, ancora, l’acqua non la sentiamo scendere. Le immagini sullo schermo ci mostrano però che nella parte montuosa del circuito l’acqua sta già scendendo copiosa. In pista i gladiatori, fino a quel momento baldanzosi sfidanti delle barriere, ancor prima che degli avversari, si trovano improvvisamente a dover fronteggiare un asfalto diventato improvvisamente scivoloso come il ghiaccio, complice la calura, lo strato di gomma depositatosi nei primi giri e le notevoli pendenze che, da sempre, caratterizzano una certa parte della pista in città.

Il momento è drammatico, tanti protagonisti vanno in notevole difficoltà, scivolando nelle vie di fuga, sfiorando pericolosamente le barriere, toccandole, in certi casi, tutti pregano di non danneggiare le monoposto. Altri guadagnano faticosamente i box, dove vengono loro montate ruote con gomme più appropriate alla situazione. Nella zona tutt’attorno alla piscina, la pioggia è stata più clemente, rispetto ad altre parti del circuito, permettendo a chi stava sugli spalti di non inzupparsi più di tanto.

Ma l’asfalto era, anche lì, davvero infido. Perfino i primi due, irraggiungibili per gli altri, hanno avuto il loro momento di difficoltà, proprio di fronte a noi. Il primo, che da quando è iniziato a piovere, non ha perso nemmeno un’occasione per far scivolare il posteriore della macchina, testando l’aderenza in uscita da ogni curva, eccede in confidenza e va a toccare la barriera in uscita dalla chicane, tagliando la pellicola pubblicitaria.

Il secondo, nella foga e nella precarietà di aderenza dell’asfalto viscido, va lungo, tagliando la doppia curva in diagonale. Ma sono gli unici due piccoli nei in una gara pressoché perfetta, per entrambi. Ai quali si è unito un giovanotto di quelli che non t’aspetti, a cui la particolarità dello scenario e delle condizioni meteo ha offerto una opportunità che lui, con estrema bravura e tanto coraggio, non si è fatto sfuggire. Non a caso era quello più felice e sorridente dei primi tre, quando sono scesi dagli shuttle che li hanno riportati nel paddock dopo la cerimonia del podio.

Dopo una giornata di qualifica memorabile, è andato in scena una ottantesima edizione del Grand Prix de Monaco degna di un thrilling, dove la caccia al ladro di hitchcockiana memoria si è conclusa con la vittoria, meritatissima, di chi è scappato via da subito e, tranne quella piccola toccata, ha dominato in lungo ed in largo, dando vero spettacolo di guida sia sull’asciutto che sul bagnato. Gli altri protagonisti non sono stati da meno, anche se la sommessa tristezza di una monoposto rossa abbandonata nel parco chiuso ha un po’ velato il sorriso di chi si stava felicemente allontanando dalla postazione sopra la piscina. Ma questa è un’altra storia…

 

 

 

 

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