Ecclestone: "I mei 87 anni, i segreti della Formula 1 e quegli aiutini alla Ferrari"

 

Ecclestone: “I mei 87 anni, i segreti della Formula 1 e quegli aiutini alla Ferrari” – Repubblica.it

 

La prima regola di un buon venditore di auto usate è la puntualità. Alle 12.29 Bernie Ecclestone apre la porta al 66 di Knigthsbridge. Certe abitudini non te le puoi togliere di dosso. Neanche se dopo aver venduto macchine sei diventato una delle persone più ricche e famose del mondo.

Davanti alla finestra grande del bar Boulud la bionda manager di sala, sin lì ipnotizzata dall’autunno londinese, si desta improvvisamente alla vista dell’inconfondibile caschetto bianco. “Buon giorno, Mister E, il suo tavolo da tre è pronto, se vuole seguirmi…».
Un tempo, in Formula 1 e in generale in tutto il mondo dell’automotive, bastava pronunciare quella formula per evocare successo, fama, potere. Bastava dire “Mister E vuole così” per aprire porte anche laddove porte non ce n’erano: se lo voleva Mister E i peggiori bidoni diventavano macchine vincenti; imprese sconclusionate, team fenomenali; i paracarri, dei campioni.

Tutto questo fino a un anno fa, quando dopo una trattativa capolavoro, Ecclestone ha venduto il giocattolo più grande del mondo per 9 miliardi e mezzo. Da allora la “sua creatura” non è più sua. Gli acquirenti, gli americani della Liberty Media, vittime del più classico dei complessi yankee, un po’ per gelosia un po’ per paura di non essere all’altezza, lo hanno estromesso, nonostante l’iniziale promessa di lasciarlo in charge, al comando, per altri tre anni .

Perdere il potere a 87 anni (li compirà domani) è nell’ordine delle cose. Perderlo così, fa male. Tuttavia Ecclestone ne ha viste troppe in vita sua per portare rancore. E poi ha troppo senso dell’umorismo. E così eccolo qui questo gigantesco ometto canuto venuto su dal nulla della campagna inglese — dove, figlio di un comandante di chiatte, vendeva auto e pezzi di ricambi — accomodarsi al tavolo di uno dei più costosi ristoranti di Londra, ordinare hamburger al piatto, patatine fritte e acqua gasata, e cominciare a raccontare a Repubblica misteri, magie e bugie della Formula 1. Della sua Formula 1.

Ecclestone, cominciamo dall’inizio. Dalla leggenda dell’origine della sua fortuna. Nessuno ha mai saputo come abbia fatto i primi soldi. C’è persino chi sostiene che lei abbia preso parte alla grande rapina al treno postale del 1963, quando vennero rubati 2,6 milioni di sterline (60 milioni di euro di oggi). La banda fu arrestata, ma il bottino mai recuperato.

“Impossibile, c’erano troppi pochi soldi su quel treno. ( Ride) La verità è che l’autista della banda era un bel pilota. Graham Hill mi disse che dovevamo fargli un provino alla Brabham per aiutarlo. Ma aveva più di trent’anni… Era troppo vecchio e gli chiesi cos’altro sapesse fare.Sapeva lavorare oro e argento. Così gli dissi di fare i trofei per la coppa che ancora oggi consegniamo agli organizzatori. La verità è che l’origine della mia fortuna è la fortuna stessa”.

Si ritiene un uomo fortunato?
“Ho avuto un sacco di idee e una buona capacità di realizzarle, ma poi sono stato anche fortunato a incontrare tante persone che mi hanno aiutato. Se devo fare due nomi speciali, mi vengono in mente Colin Chapman ed Enzo Ferrari. Hanno creduto in me e mi hanno sempre sostenuto”.

Che tipo era Ferrari ?
“Un uomo straordinario, coraggioso, visionario. Molto difficile, ma sempre leale. Gli devo molto. E non è un caso che il suo marchio e il mio siano due realtà indissolubili”.

Indissolubili?
“Assolutamente sì. La F1 è la Ferrari; la Ferrari è la F1».

Ecco, a proposito. Tra gli appassionati c’è sempre stato il sospetto che la Ferrari sia stata di tanto in tanto aiutata dalla Fédération Internationale de l’automobile, la Fia, che all’estero è soprannominata con sarcasmo Ferrari International Assistance. Cosa ne pensa?
“Aiutare la Ferrari è sempre stata la cosa più intelligente da fare. Ed è sempre, sempre sempre stato fatto attraverso i regolamenti tecnici”.

I regolamenti tecnici non li fa la Fia?
” ( Ride) Niente affatto. Vede: i team sono importanti per la F1, ma la Ferrari lo è di più. Per questo negli anni sono state fatte molte cose che hanno aiutato Maranello a vincere”.
Questo non è molto “fair”.
“No”.

Gli stessi appassionati hanno sempre accusato Charlie Whithing, il direttore di gara, di aiutare i team inglesi. È vero anche questo?
“Ma no. Charlie ha sempre fatto quello che doveva. Invece Max (Mosley, ex presidente Fia, ndr) ha spesso aiutato la Ferrari. E anche io. Noi tutti volevamo che la Ferrari vincesse. Una stagione vinta dalla Ferrari ha più valore di una stagione vinta da altri. Ma guardi che anche i team hanno interesse a sfidare una Ferrari competitiva.Un conto è vincere contro la Sauber, un conto è farlo contro un’auto rossa col Cavallino”.

Quest’anno secondo lei è stata aiutata?
“Nel caso, nessuno può saperlo. Tranne chi lo ha fatto… Di certo a un certo punto una mano con questo motore l’hanno avuta”.
In passato o quest’anno?
“Con questo motore”.
E da chi? Come? In che senso?
“Anche per la Mercedes vale lo stesso ragionamento. Un mondiale vinto contro la Sauber è una cosa. Uno vinto contro la Ferrari è un’altra”.

Quindi Mercedes ha aiutato la Ferrari?
“Non lo so. Dico: forse. Del resto nel passato è già successo, con la Honda. Se Mercedes avesse deciso di travasare tecnologia a Maranello, io dico che è stata una buona mossa. Del resto è certo che con questa situazione amichevole che c’è tra i due team, la cosa migliore per quelli di Stoccarda nel 2017 era assicurarsi: a) che la Red Bull non avesse i motori più potenti (e la Ferrari nel 2016 si è rifiutata di darglieli, ndr); b) che la Ferrari fosse abbastanza competitiva da essere una rivale credibile. Da battere”.

E così vincerà Hamilton. Dove ha sbagliato la Ferrari?
“È stata sfortunata. Ha pagato a caro prezzo due errori degli ingegneri”.

 

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