DI PAOLO CICCARONE FOTO dal web/Colombo/Mazzi
Ha vissuto la gioia più grande per un pilota italiano, salire sul podio in una gara italiana al volante della Ferrari, ma Nicola Larini questa gioia non se l’è mai goduta perché avvenuta nel week end più triste della storia della F.1. Era infatti il 1 maggio del 1994, il GP di San Marino a Imola, segnato dalle tragedie Senna e Ratzenberger e Nicola colse un secondo posto alle spalle di Schumacher che segnava, in qualche modo, la rivincita su una carriera in cui il colpo grosso era sempre mancato. Nicola corse quei GP in sostituzione di Jean Alesi, infortunatosi al Mugello durante i test invernali. Ad Aida, in Giappone, la corsa finì alla prima curva proprio contro Senna. A Imola, invece, sembrava filasse tutto liscio. E invece… Adesso dopo 30 anni da quel GP, con le celebrazioni e i ricordi in atto, ecco qua Nicola Larini che parla e svela alcune cose inedite…
“Bah, guarda Paolo, come ho già detto altre volte, non solo ora che si ricorda il trentennale, perciò mi sembra quasi lo stesso disco incantato su quel giorno. Ho fatto il mio miglior risultato in F.1 a Imola. Oltretutto con la Ferrari nel più tragico weekend della storia, penso della intera storia della Formula Uno. Abbastanza scontato che non potessi esultare o fare quello che si fa normalmente quando un pilota va a podio, non dico con la Ferrari, ma normalmente. Ma era proprio una situazione anomala e tragica. Ho saputo solo a fine gara le cose, prima di avviarmi al podio mi comunicano che Ayrton se n’è andato. Insomma è stato un colpo duro. Sì, mi rimane il podio. Rimane che ho fatto secondo con la Ferrari a Imola, però in un contesto buio che ho quasi rimosso dalla mente perché non si può, in una situazione simile, dare peso a un risultato che, purtroppo per me, è rimasto unico”.
Tra l’altro adesso col trentennale salteranno fuori tutte le storie, le vicende, i ricordi e tu fai parte di questo pezzo di storia, tuo malgrado. Perché eri uno dei protagonisti di quell’avvenimento…
“Una volta che hai fatto parte di quel momento storico, essendoci sempre delle ricorrenze, io mi trovo nella condizione in cui devo sempre rispondere ai vari quesiti. A dover dare delle informazioni a chi ascolta o ci legge, anche perché ora, per una questione anagrafica, sono tutti dei nuovi tifosi, nuovi appassionati, una nuova era di ragazzi che all’epoca o erano bimbi o non erano nati”.
Vedo che ultimamente hai pubblicato un po’ di immagini e ricordi della stagione 1989, quando con la Osella dovevi superare le pre qualifiche. E c’è mancato poco per un colpaccio, addirittura un podio in una gara, perché c’era sempre qualcosa che andava storto, come ricordi quei momenti, quel periodo in cui il confronto era con i vari Senna, Prost, Piquet, Alboreto?
“ E’ stato in una occasione particolare. Era infatti una circostanza in cui mio figlio Davide era a fare il sedile in Germania, nella nuova squadra di F.4, e io ero a far niente e mi è arrivata una notifica da Facebook che diceva ti ricordi questo? Ti ricordi quest’altro? È successo questo. Io ho detto bello, quindi lo commento. Venne fuori l’episodio della gara in Canada: ero terzo sotto un diluvio universale. E stavo tranquillamente in quella posizione, avevo un vantaggio incredibile sul quarto. Mi trovavo lì e mi dicevo: va che ce la facciamo. Ero pure davanti a Senna, non mi ricordo il perché, non so cosa avesse fatto, però era vero il fatto che potevo veramente fare il colpo della vita, ma non tanto per me, quanto anche per Enzo Osella, che ha perso un’occasione importantissima. In molti, forse, non lo sanno, ma all’epoca quando segnavi dei punti avevi la possibilità di finire nella top ten della classifica mondiale, avevi dei benefici incredibili per quanto riguardava le trasferte, quei bonus che davano vantaggi economici importanti, specie per una piccola squadra come Osella. Invece sfumò tutto per un problema del cavolo, si era bagnato un filo che non era stato isolato a dovere e andò tutto in tilt”.
Era una F.1 in cui anche un piccolo team come il tuo, che doveva superare anche le pre qualifiche perché eravate più di 30 macchine, poteva lottare coi primi e cogliere l’occasione giusta. Cosa che invece oggi, con la F.1 attuale, non è così. Son 10 squadre, quelle sono, quelle rimangono e i valori in campo restano sempre quelli.
“Ma oggi questa F.1 non si può vedere. Allora ci sono 20 piloti. Quando vedi che un pilota arriva al decimo ed esulta perché ha preso un punto su 20 macchine a me viene da ridere. Noi eravamo 36 vetture e 36 piloti nell’89 e i punti li prendevano i primi sei, mica come oggi che per me è ridicolo”.
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Era altra epoca, oggi c’è il numero chiuso: 10 team e 20 piloti, e stop. A quell’epoca invece…
“Eravamo costretti a fare le pre qualifiche e io le ho fatte con più di tre squadre. Ci hanno provato a limitare gli accessi, anche con la licenza, ovvero la squadra che non era qualificata l’anno precedente nei primi e l’anno dopo era costretta a trovarsi in fondo o addirittura a lottare per le pre qualifiche. Una sorta di retrocessione e promozione in serie A e B. Capisci che era importante cogliere le occasioni e quando sfumavano, restavi deluso o ti incazzavi davvero… Come quando con l’Osella a Imola ero quinto. A 5 giri dalla fine si rompe il cuscinetto di un portamozzo e mi ritiro. Capisci che sono quei sogni che svaniscono per niente, senza che tu abbia colpa. Ci eravamo messi in mostra in quella gara lì, sarebbe stato importante per Osella e il team, ma è andata così…”
Però c’era un aspetto importante a quel tempo: un pilota italiano che veniva valorizzato e finiva in Ferrari. E qui bisogna dire che Cesare Fiorio, sulla filiera degli italiani, ci ha sempre creduto. Perché oltre a te abbiamo visto Montermini, Morbidelli, Badoer per citare dei nomi, per cui c’era uno sbocco ad alto livello. Oggi i piloti italiani, se va bene, fanno il terzo pilota tipo Giovinazzi alla Ferrari che poi alla prima occasione, vede il ragazzino Bearman correre al posto di Sainz, il danno e la beffa….
“Ma sì, ma era un mondo completamente diverso. Io chiaramente, dopo aver vinto l’italiano di F.3 con il motore Alfa Romeo, ho avuto l’opportunità di essere preso in casa Alfa e da lì sono nate delle occasioni. E appunto da lì c’era anche Fiorio in Alfa in quel momento. Lui mi ha seguito fin da subito. Mi stava mettendo sulla Ferrari già nel GP del Messico 89 per sostituire Berger, dopo l’incidente di Imola. Si creavano delle opportunità ed io ero nella loro orbita e ho avuto quelle occasioni, come poi appunto di arrivare a fare il Gran Premio di Imola nel 94”.
Una occasione che quest’anno ha avuto Bearman al posto di Sainz in Arabia Saudita con Giovinazzi a casa al simulatore…
“Ok, ma calma un po’. Secondo voi è fare un risultato poi così importante? Oggi quel ragazzino inglese ha fatto settimo, però sempre su 20 piloti al via e con una macchina che potenzialmente poteva fare quarto. Torniamo al discorso di prima, eravamo in 36, facevamo le pre qualifiche al mattino in orari pazzeschi. Per fare un punto dovevi superare questi scogli e solo i primi sei li prendevano. Oggi basta arrivare 10, ovvero su 20, sai che fatica…”
Ovviamente non c’è paragone, ma tu la F.1 ora la stai guardando ancora con passione, cosa c’è che ti piace e cosa non ti piace?
“Allora devo essere onesto, la seguo. A prescindere dai regolamenti, dalle macchine, dai piloti, rimane sempre il top. Ora ci sono delle regole anche particolari, che non mi piacciono, come per esempio non condivido quella dei track limits. Ci sono curve dove non c’è più il cordolo, con dietro l’erba o la ghiaia, ora c’è l’asfalto, quindi è normale che tutti i piloti che possano sbagliare possano andare oltre il cordolo, perché sentono di poter andare oltre. E quindi? All’epoca invece, quando si sbagliava, scordolavi col risultato che o spaccavi il fondo o spaccavi la sospensione o sbattevi in un muro. Risolto il problema del track limits”.
In effetti mi ricordo i colloqui che avevi con Tarquini su un paio di episodi che fanno ridere. Siamo in Argentina, c’era il curvone di ritorno e tutte le volte che pigliavi la buca dicevi “qui gode soltanto il mio dentista, perché mi salta la protesi” e poi, quando parlavi con Tarquini, e gli chiedevi: ma te la seconda dell’Arrabbiata come la fai e lui rispondeva: cagandomi sotto. Ecco, sono cose che oggi non le senti più fra i piloti in gara…
“Intanto era anche vero che eravamo un bel po’ di italiani all’epoca e quindi si viveva l’ambiente anche in un modo diverso. Si andava in vacanza assieme tra un Gran Premio e l’altro e a volte ci siamo trovati in gruppi di 5, 6 piloti italiani che venivano con le mogli e fidanzate. Erano organizzati anche i ritiri per gli allenamenti. Quindi era bello stare in gruppo tra noi, e c’era anche un rapporto veramente di amicizia, che dalla pista si trasferiva fuori dai circuiti. Poi con alcuni, come Nannini, avevamo un rapporto fra toscanacci, le battute da bar si facevano sistematicamente, era un divertimento”
Beh, fra te e Alex Nannini ne avete combinate di ogni colore…
“Con lui ho continuato nel DTM con l’Alfa Romeo è stato tutto molto bello. Era un mondo diverso”.
Senti, parlando di F.1 attuale, secondo te la l’operazione Hamilton Ferrari è giusta, va nella direzione perfetta? Oppure cosa avresti fatto?
“Ma se lui si è messo in gioco, per chiudere la carriera con la Ferrari, secondo me ha fatto bene, se poi la Ferrari ha sbagliato a prendere un pilota che è sempre competitivo, ma che le nuove leve lo potrebbero scalzare, questo non lo so. Forse l’hanno fatto più come operazione di business e marketing. Immagine per poter promuovere il marchio. Ferrari e Hamilton sono dei numeri uno. Non è facile da interpretare, però sono successe tante cose strane in Ferrari, che ci sta pure questa…”
Perché dici cose strane?
“Ma sì dai. Ci sta anche questa. Ti ricordi quando io ho avuto l’opportunità nel 91 di essere con Senna nella squadra che aveva ideato Cesare Fiorio. Poi sono successe delle cose e la formazione Senna Larini del 91 non si è mai fatta e non si è mai capito il motivo”
In effetti la Ferrari del 91 aveva Prost e Alesi, come ricordi quei momenti?
“Beh dai, una di quelle cose lì… Insomma, su quelle cose strane eh?
Alla luce del poi, pensi ti sia andata bene perché non ci sei finito o ti è andata male perché non hai corso?
“No, se ci finivo di sicuro mi cambiava la carriera. Questo è che in quel momento lì ero al top e penso che potevo dire la mia. Benissimo. Chiaro che al fianco di Senna non sarebbe stato semplice. Però tu a priori non puoi tirarti indietro, cioè la sfida l’accetti”.
Ci puoi spiegare perché è finito Alesi, col quale la Ferrari aveva firmato praticamente a settembre, Gran Premio del Portogallo, quando fino a Monza eri tu il papabile per il secondo sedile Ferrari? Dai, svela qualche segreto.
“L’operazione iniziale era che se Ayrton Senna avesse concluso l’accordo, sarei stato io il secondo pilota. Senna aveva già fatto un pre contratto con Cesare Fiorio. Io ero nel pacchetto, cioè, quindi io diventavo il secondo pilota. Tutto bene? Invece no. È successo invece che è arrivato Prost, perché Prost era invece voluto da altre persone che da Torino fecero saltare tutto e mesi dopo saltò anche Fiorio”
Fu Fusaro a imporsi e far saltare tutto, ricordiamolo…
“Va bene l’hai detto tu, quindi saltò tutta l’operazione, come del resto poi è saltata l’operazione a fine del 95, quando io dovevo essere al fianco di Schumacher nel 96 e la beffa se si è ripetuta un’altra volta. Questa volta era andato tutto in aria per colpa forse degli sponsor. Non so che dirti, ma io fino al 28 settembre dell’anno precedente, ovvero 1995, avevo il 99% possibilità di guidare con Michael alla Ferrari nel 96. Ah ecco, a ben guardare e a dirlo finalmente, ci ha messo lo zampino Willy Weber, il manager di Schumacher. Ci ha messo lo zampino lui e non ero gradito dai suoi sponsor, non voleva un pilota italiano in squadra, ma un numero 2 e presero Irvine”.
D’altronde un pilota italiano in Ferrari avrebbe creato un’attenzione diversa nei confronti del suo pupillo che, all’epoca, ricordiamo Schumacher non era il campionissimo del dopo Ferrari e non era soprattutto quel mostro di simpatia che veniva fuori dalla Benetton…
“Ah sì, ma infatti. Come hai detto tu, il fatto era che io, bene o male, gravitavo in Ferrari da 5 anni. Quindi lui probabilmente temeva la mia influenza nel team, le conoscenze, insomma avevo già un terreno spianato in squadra. So che fui scartato per loro volere. Sono rimasto con loro, in Ferrari, ma ho fatto il terzo pilota”.
Eri nel posto giusto, ma con la compagnia sbagliata. Adesso hai tuo figlio che corre in F.4, ma questi ragazzini che corrono in queste categorie che costano un botto e di sbocchi non ne hanno, come la vedi?
“Malissimo, malissimo. Io guarda, avevo iniziato l’altro anno, ci siamo un po’ affacciati, si è fatto un po’ di esperienza. Ho guardato le altre squadre e mi sono detto: forse non siamo nella squadra giusta. Perché insomma, hai visto come funziona? Lì ci sono sempre quelle tre squadre che vincono solo loro. Ogni gara si alternano e perciò ho detto no, no così non va bene. Ho preso anche in considerazione determinate occasioni che lui ha avuto di poter far vedere il suo potenziale. Mio figlio così scarso non è, probabilmente ha bisogno di qualcosa di più. Per essere all’altezza ci vogliono soldi e la squadra giusta. Insomma, mi sono rimboccato le maniche, quest’anno ho trovato un po’ di piccolo sponsor. Volevo che Davide avesse del buon materiale per farsi valere. Ho dovuto andare a cercare a destra e a manca per trovare dei supporti, che veramente mi hanno messo in una condizione che non pensavo”.