Mick Schumacher, correre e vincere nel nome del padre

Sulle orme del padre Formula 1 Mick, figlio del grande Michael, a un passo dal trionfo in F.3 con la scuderia italiana PreMa di Angelo Rosin: «Un ragazzo umile che farà tanta strada»

 

Lo sguardo è assente, a fissare un punto lontano. La testa penzoloni, immobile. L’espressione di chi osserva un punto indefinito in un mondo che ormai è solo suo e in cui nessuno riesce ad entrare. Su quella sedia prosegue la vita di Michael Schumacher, sette volte campione del mondo di F.1, paralizzato in seguito a un incidente con gli sci in Savoia nel dicembre del 2013. Ed è a quella sedia, tornando a casa, che il figlio Mick, 19 anni appena, guarda tutte le volte cercando un dialogo che per ora è a senso unico. La beffa di una vita vissuta a 300 all’ora e fermata da una banale caduta a 27 km orari con la testa che batte contro la roccia. I danni causati dalla telecamerina che Michael portava sul casco per immortalare le vacanze di Natale con la sua famiglia, con Mick al suo fianco. Quasi sei anni dopo, i trofei continuano ad entrare in casa Schumacher.

 

A fianco delle coppe di papà Michael, adesso ci sono quelli di Mick, capolista del campionato europeo di F.3 ad un appuntamento dal termine. Con la possibilità di vincere quel titolo europeo che lo lancerebbe nell’olimpo dei campioni, al di là del nome (pesante) che porta. La vita di Mick è un inferno in un paradiso.

Il padre, suo eroe e suo modello, come lo definì l’unica volta in cui ne parlò in pubblico (nel 2015) è presente ma assente. Quando Mick torna a casa e vorrebbe raccontargli l’ultima impresa compiuta al volante della monoposto della Pre-Ma, la scuderia italiana per la quale corre. Invece gli risponde il silenzio. Quello sguardo di chi non sai se capisce o meno, se intende quello che gli dici oppure no. Un confronto straziante, fatto di sguardi non corrisposti. E una sfida in pista in cui nessuno ti regala niente. Chiamarsi Schumacher, nel mondo dei motori, è una maledizione da un lato e una benedizione dall’altra. Al debutto in F.4 nel 2014, attorno a Mick arrivarono 200 giornalisti da tutto il mondo. Era solo un ragazzino di 15 anni, un giovane che voleva fare il pilota con un padre ingombrante.

 

Un mito, un pezzo di storia per tutti. Tranne che per lui che giorno per giorno condivideva la sofferenza quotidiana di quello sguardo assente, quella presenza assenza su quella sedia a casa. In un momento della vita in cui un adolescente si forma, avere un fardello del genere sulle spalle è capace di spezzarti la schiena. Invece Mick ha tirato fuori qualità che erano del padre, la forza d’animo il non arrendersi e al concentrarsi sull’obiettivo finale. Ovvero andare più forte degli altri.

Quest’anno, in F.3, era cominciata male. Errori, sbagli, decisioni dei commissari pesanti e difficili da digerire. Se ti chiami Schumacher, la gente pensa che tutto ti è dovuto e quindi te la fanno pagare cara. Anche quando non colpa tua. Poi la svolta, in estate. Sulla pista di Spa, in Belgio, dove il padre ottenne la prima vittoria in F.1, dove Michael debuttò al volante della Jordan nel 1991. E dove l’anno scorso Mick, al volante della Benetton del padre, prima del via del Gp fece una esibizione su quella pista. È successo qualcosa che nelle ultime settimane lo ha portato a sette vittorie, a un appuntamento dal termine della stagione. Mick corre con una squadra italiana, veneta di Grisignano di Zocco, Vicenza. La PreMa Powerteam. Il titolare, Angelo Rosin, ne ha sfornati di campioni in 30 anni di storia. Jacques Villeneuve prima, per arrivare a Charles Leclerc ora senza dimenticare Antonio Giovinazzi o Lance Stroll, pilota della Williams F.1. Una scuola che è una certezza. «Mick è un ragazzo stupendo – dice Angelo Rosin, anche se la squadra la segue in pista il figlio Renè – alla sua prima gara a Misano sbagliò la partenza, via radio si scusò con tutto il team per l’errore. E poi è educato, per bene, ha avuto una educazione che traspare in tutti i suoi atteggiamenti. È molto umile, fa gruppo coi ragazzi del team.

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