F.1 il ricordo di Merzario, così ho salvato Lauda dalle fiamme

L’avversario in pista è un nemico da battere. Se poi quel nemico è colui che ti ha soffiato il posto l’anno prima in una squadra che amavi, diventa doppiamente nemico e devi distruggerlo. Era la filosofia degli anni 70 in F.1 e Arturo Merzario era uno che il nemico lo conosceva bene: Niki Lauda. L’austriaco, infatti, su consiglio di Clay Regazzoni arrivò alla Ferrari togliendo il posto a Merzario, che dovette cercare un’altra macchina per la stagione 1974.

 

Due anni dopo, pista del Nurburgring, mentre Lauda con la Ferrari di Merzario aveva vinto un mondiale e stava dominando il secondo, l’incidente. Niki che si schianta al Berckweck, una curva infida del tracciato. La Ferrari prende fuoco, viene centrata da altri piloti e l’unico che si getta fra le fiamme a salvare il pilota austriaco fu proprio lui: Arturo Merzario. Il pilota che ha dato una seconda vita a Niki Lauda: “Mi buttai tre volte fra le fiamme, Niki si agitava, non riuscivo a tirarlo fuori dall’abitacolo perché era ancora legato con le cinture, poi per fortuna svenne e riuscii a staccare le cinture, a trascinarlo fuori dalla macchina che bruciava e a fargli il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale, come avevo imparato da militare. Senza quell’operazione, non sarebbe stato più con noi”

 

Così Arturo Merzario ricorda come salvò la vita a Niki Lauda, tre volte campione del mondo di F1, scomparso a 70 anni

 

“Non voglio rimarcare il fatto di aver dato una seconda vita ad un amico-nemico: dico così perché nelle competizioni sportive i tuoi amici sono sempre nemici. Dopo gli eventi al Nürburgring è stato più amico che nemico, fermo restando che come concorrente è rimasto un avversario. È sempre così nelle competizioni sportive”.

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Parliamo del pilota Lauda: tu che eri suo avversario in pista che pregi e difetti gli riconoscevi?

 

“Di Niki se ne sono sempre dette di ogni. Dal mio punto di vista, però, il Niki che ho conosciuto io a fine anni Sessanta, quando lui si cimentava nelle formule cadette, nelle sport prototipo, era un giovane emergente che arrivava a rompere le palle a quelli già affermati. Era un pilota determinato, valido sotto tutti i punti di vista. Non era super veloce, ma la sua intelligenza e il saper andare più lentamente degli avversari ha fatto sì che vincesse la guerra, pur perdendo alcune battaglie”.

 

Quindi Lauda era una persona che dell’intelligenza aveva fatto la sua cifra distintiva, pur non essendo il più veloce…

 

“Lauda è stato colui che ha continuato la mentalità di Jackie Stewart, diventando un ragioniere dell’automobilismo, senza utilizzare solo l’istinto e le capacità del piede, ma leggendo bene determinate situazioni. Intuiva la corsa, non c’erano computer a quel tempo, ci voleva la testa e lui l’aveva, capiva quando non era il caso di rischiare oltre, portava a casa sempre il miglior risultato possibile, non concedeva nulla alle folle, pensava solo ad essere concreto”. 

 

A distanza di anni vi siete poi ritrovati. Vi siete confessati qualcosa che magari all’epoca, quando eravate avversari in pista, non vi eravate mai detti?

 

“In occasione dei trent’anni dall’incidente al Nürburgring, nel 2006, grazie a Bernie Ecclestone, grande patron che manca molto nella direzione della F1, ci siamo riuniti. Dopo questo incontro, è nato un altro rapporto. Per scherzare feci finta di trovare un orecchio di maiale nel prato dove aveva avuto l’incidente, glielo diedi e lui rispose che lo avremmo fatto alla griglia!”

 

Che cosa significa una perdita del genere per la Mercedes, di cui Lauda era direttore non esecutivo e deteneva il 10% delle quote?

 

“Viene a mancare una figura determinante: penso che la sua scomparsa possa influire negativamente sulla Mercedes. Al di là delle sue quote nel team, ricopriva un ruolo rappresentativo, con la sua immagine, il suo carisma e con tutto ciò che ne conseguiva. E’ stato lui a saper tirare fuori da Hamilton il massimo possibile, mi ricordo quando venne alla Ferrari su ordine di Montezemolo, non piaceva a tutti, ma aveva dato le indicazioni giuste su come far rinascere la squadra. Infatti poi arrivò Todt, Schumacher e l’epoca dei trionfi”.

 

Sei stato l’ultimo a sentirlo, almeno pubblicamente…

 

“Sì, dopo il trapianto di polmoni, eravamo in diretta TV a Paddock di Franco Bobbiese. Prendo il telefono, lo chiamo e mi dico: al massimo mi manda a cagare come fa di solito. Invece la telefonata gli fece piacere, ringraziò i tifosi e il pubblico, era commosso, lo capii bene perché lo conoscevo, non si aspettava quella telefonata e l’applauso caloroso del pubblico. Ce la faccio, sto allenando e preparandomi al ritorno in pista, ciao Arturo, vi vediamo in circuito mi disse…Ecco, posso solo dire ciao Niki“.

 

 

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