F.1 MONZA 70 La vita e la morte in 24 ore, dalla tragedia Rindt, alla festa Regazzoni

DI PAOLO CICCARONE PER AUTOMOTO.IT FOTO FRANCO BOSSI

La vita e la morte nello spazio di 24 ore. Il sangue e l’arena, il ciclo ineluttabile e Monza. Nell’edizione del 1970 andò in scena qualcosa di unico, forse, nella storia della F.1 che rappresenta in pieno l’alternanza descritta in precedenza. Accadde tutto fra sabato 5 settembre e domenica 6 settembre 1970. Stessi giorni in cui si disputa il GP 2020 a porte chiuse. Jochen Rindt è leader incontrastato del mondiale F.1. La sua Lotus 72 è imbattibile. Il cuneo di Colin Chapman presenta soluzioni inedite, e ardite. Ha una aerodinamica vincente rispetto alle rivali tradizionali. Fatto sta che il pilota austriaco infila una serie di vittorie e prende un vantaggio enorme nella classifica del mondiale. Ma quella Lotus 72 è fragile, preoccupa il pilota austriaco di nascita tedesca, tanto che agli annali sono rimaste le lettere scritte al capo della Lotus chiedendo di rinforzare alcuni particolari.

A Rindt era già capitato di scontrarsi con la fragilità della Lotus, quando in un GP di Spagna lui e Graham Hill si ritrovarono con gli enormi alettoni rotti e la macchina contro il rail. Per Rindt, quella volta, la rottura del setto nasale, che gli rimase storto e l’intervento della federazione che vietò le enormi ali, così utili ma così fragili e pericolose. A Monza va in scena l’ultimo atto di quel dramma fatto di ricerca esasperata e soluzioni pericolose. L’idea di Chapman è semplice: l’impianto frenante pesa e ha spostato dischi e tubature all’interno del telaio, ad altezza pedaliera. La distribuzione dei pesi risulta migliorata visto che sulle ruote non grava nessun peso. Il problema, però, è che le torsioni indotte sul mozzo sono tali da provocare cedimenti. Come avviene alla staccata della Parabolica.

Nello stesso punto, 9 anni prima, ci fu la tragedia Von Trips, con la Ferrari che volò in tribuna falciando decine di spettatori e lasciando sul campo dei morti. La sicurezza in pista è migliorata, adesso. C’è un guard rail, una doppia fila di reti protegge gli spettatori dalla pista. Ma il destino che salva le vite del pubblico, è beffardo con Jochen. Alla staccata si rompe il mozzo e la macchina sbanda di colpo a sinistra. La beffa consiste in un innocuo leprotto del parco, che proprio sotto il palo che fissa il guard rail ha scavato una sua tana.

La forma a cuneo della Lotus complica le cose: la macchina si infila sotto al rail, che si solleva e ricade come una ghigliottina sul pilota che per le gravi ferite morirà poco dopo in ospedale. La scena è drammatica: la Lotus sventrata si ferma nella sabbia della parabolica: intervengono gli infermieri che lo estraggono in qualche modo, lo depositano sulla barella e correndo e inciampando nella sabbia, lo caricano sull’ambulanza. Arriva Dennis Hulme con la sua McLaren: si ferma, fa segno col pollice su a un commissario per accertarsi che Jochen sia salvo. Il commissario scuote il campo, gira il pollice verso il basso e scuote la testa facendo capire che manca poco… Hulme accelera di colpo e riparte sgommando verso i box.

Monza, 24 ore dopo. La vita continua e in pole position c’è la Ferrari di Jacky Ickx, l’unico vero rivale nella corsa al titolo. La folla è delle grandi occasioni: le immagini bianco e nero della TV della Lotus che si schianta, la notizia della morte di un campionissimo, l’attrazione fatale verso quello spettacolo, fa sì che le tribune si riempano come non mai, anche se quell’anno per la mille km ci fu il record di spettatori in pista, dato che la F.1 veniva considerata quasi come una spalla alle vetture sport. La corsa vede i soliti duelli, le scie, i sorpassi dei grupponi lanciati a 300 all’ora. Ickx si ritira, prende il comando Clay Regazzoni con la seconda Ferrari. La terza, occasionalmente come altre gare in quella stagione, è affidata alla giovane promessa Ignazio Giunti, che pochi mesi dopo in Argentina morirà in uno degli incidenti più assurdi delle gare sport prototipo.

Clay ha 31 anni, li ha compiuti proprio il giorno prima quando è morto Rindt. Dimostra di essere freddo, capace di sfruttare le circostanze e in una Monza urlante porta alla vittoria la Ferrari 312 ottenendo il primo successo della carriera. La tribuna esplode, c’è una paura repressa, la tensione del giorno prima, la voglia di urlare e liberarsi e come di incanto si sfondano i cancelli, si entra in pista, le macchine faticano a trovare un varco fra la folla impazzita. Clay viene preso di peso dalla sua Ferrari, portato in trionfo sulla tribuna della premiazione dove c’è più gente che in pista. La morte e la vita, nello spazio di 24 ore. I piloti lasciano l’autodromo, qualcuno va all’ospedale a rendere onore alla salma di Jochen Rindt. A Monza parte quel giorno la tradizione dell’invasione di pista per celebrare il vincitore. Accadde ancora nel 1978, con la morte di Peterson e le gravi ferite di Brambilla.

Volevano festeggiare Andretti e Villeneuve, si ritrovarono Lauda sul podio perché gli altri due furono penalizzati per partenza anticipata.

Ottobre 1970, la Ferrari coglie altre due doppiette, ma negli USA il giovane Emerson Fittipaldi, divenuto prima guida della Lotus, vince la gara e toglie a Ickx la possibilità matematica di vincere il titolo che resta assegnato a Jochen Rindt alla memoria. Alla premiazione ufficiale dei campioni, una scena struggente. In sala c’è la moglie Nina e la figlia, che appena sente nominare il nome del padre, comincia a urlare: “papà, papà” e indica lo schermo con la foto. Commozione e lacrime di tutti, come neanche al funerale dove i campionissimi dell’epoca gli tributarono un silenzioso addio. Jacky Ickx disse che fu contento di non aver vinto quel mondiale, non avrebbe avuto valore.

Nel 72 poca fortuna per Clay e la Ferrari con l’erede della 312 vincitrice due anni prima

E Clay, ricordando Monza 70, sorrideva amaro: non aveva capito di aver vinto, non capiva il perché di tutta quella folla festante dopo aver ancora negli occhi l’immagine di Jochen contro il rail del giorno prima. E quando gli si chiedeva, Clay ricordi che tifo a Monza quella volta? Rispondeva sempre: “Eh sì, quella del 75 me la sono proprio goduta, ho fregato Niki fin dalla partenza, l’ho guardato negli occhi sullo schieramento e ho pensato: questa la vinco io e me la godo”. Anche quella volta ci fu l’invasione festante, ma con clima diverso rispetto a 5 anni prima, quando da bambino, con la polvere della sabbia in parabolica e le urla della folla, il destino della F.1 segnò per sempre un giovane appassionato che fece diventare quella passione il lavoro di una vita.

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