Buon Compleanno F.1. Verso Shangai 1000 GP , gli anni Cinquanta e Sessanta. 1 parte

Una Alfa Romeo F.1 negli anni 50, foto dal web

 

A Shangai il mondo della F.1 celebra la corsa numero 1000 della sua storia, cominciata ufficialmente nel 1950 col GP d’Inghilterra a Silverstone. Prima di allora esistevano gare e Grand Prix ma non un campionato mondiale organizzato dalla Commissione Sportiva Internazionale della FIA, la federazione dell’auto. Se pensate che quel giorno a Silverstone è nata la F.1, ebbene vi sbagliate. La nascita della categoria regina delle corse avvenne quattro anni prima, nel 1946, quando la CSI (la famosa commissione di cui sopra) decise di regolamentare le categorie per cilindrate, pesi e altro ancora. Quindi, anche se a Shangai la cifra 1000 sarà oggetto di particolari celebrazioni, in realtà si deve fare un grosso salto indietro nel tempo e definire quante gare sono state svolte effettivamente dalla F.1 non è impresa facile. Vuoi per i regolamenti a volte elastici, a volte con schieramenti misti fra F.2 e Formula Libera (ovvero F.1 senza alcune limitazioni) il conteggio è difficile e impreciso. Se poi vogliamo fare un salto nel passato e stabilire quale fu il primo GP della storia, si deve tornare indietro al 1906, oltre un secolo fa, per trovare iscritto nell’albo d’oro il nome del primo GP: quello di Francia. In ogni caso, sono state 1000 gare da ricordare, nel bene e nel male. Stabilire un filo conduttore è impossibile, in fondo ci hanno scritto decine di libri, segno che la categoria ha molto da raccontare. Di sicuro si può dividere per decenni.

 

GLI ANNI 50, QUELLI DEL MADE IN ITALY

 

Il mondiale partito nel 1950 e per quasi tutto il decennio fu dominato dagli italiani. Alfa Romeo, Lancia e Scuderia Ferrari con la presenza anche di Maserati e altri costruttori, come OSCA. Il discorso F.1 era in pratica limitato all’Europa e così anche le vetture. Infatti, a quel tempo le auto erano dipinte coi colori delle nazioni, una sorta di coppa del mondo che metteva tutti sullo stesso piano gli italiani (colore rosso), gli inglesi (verde scuro) i francesi (blu) i tedeschi (bianco anche se prima della seconda guerra Mondiale le Mercedes divennero argento per una questione banale: pesavano troppo e fu grattato via la vernice bianca lasciato il metallo grezzo).

 

E’ stata una epoca di lutti incredibile, piloti che erano personaggi e che non correvano solo in F.1 ma anche in altre categorie. La sicurezza un optional, gli incidenti all’ordine del giorno. E la stampa pronta a raccontare i drammi personali dei piloti, ma anche spettatori e commissari, coinvolti nei fatti. Basti citare la Mille Miglia e la tragedia De Portago o la 24 ore di Le Mans per capire di cosa stiamo parlando. Fu un decennio dominato da una figura: Juan Manuel Fangio e i suoi 5 titoli mondiali. In questa epoca arrivarono gli unici due titoli per gli italiani, con Ascari e Farina. Se si pensa che da quell’epoca ad oggi non abbiamo avuto più un campione italiano, viene da piangere. Ma in questo decennio cresce e si rafforza quello che diventerà un mito mondiale: la Ferrari.

 

GLI ANNI 60 I BUOI DIETRO AI CARRI

 

Erano gli anni delle prime rivoluzioni tecniche. Gli inglesi, non potendo competere con gli italiani in quanto a potenza dei motori, una nostra specialità e dei francesi (che con Bugatti avevano un oriundo da vantare, al pari di Gordini, tutti italiani di origine) si specializzarono nella telaistica. Da qui l’idea geniale di spostare il motore dietro e rendere le auto più leggere e performanti, tanto che a inizio della rivoluzione tecnica, Enzo Ferrari si spinse nella famosa dichiarazione: “Hanno messo i buoi dietro ai carri”. Infatti fino a quel momento il motore era sempre davanti e spesso anche la trazione, seppure da tempo le posteriori garantivano più prestazioni in corsa. Negli anni 60 furono gli inglesi a dominare la scena e a parte un successo nel mondiale 61 e 64 della Ferrari, furono loro a dominare i mondiali. Fra i piloti di questa epoca, nomi illustri, come Jim Clark, ma anche Stirling Moss, mai mondiale ma pilota di altissimo livello. E il caso unico di John Surtees, campione del mondo nelle moto e in F.1, cosa mai più accaduta. Fu un decennio in cui i lutti proseguirono a ritmo serrato, le misure di sicurezza insufficienti, ma proprio in questo periodo un pilota cominciò a farsi notare in F.1 per l’attenzione: Jackie Stewart. Fu lui il primo a chiedere alcune modifiche, a scegliere abbigliamenti ignifugo che cominciò a fare la sua apparizione sui circuiti. E si deve a Jacky Ickx se a Le Mans la partenza coi piloti che correvano in auto e partivano senza allacciarsi le cinture di sicurezza, da poco introdotte, fu cambiata. Il belga, che era uno scavezzacollo ma non un matto totale, sosteneva che era inutile fare 24 ore di gara e voler guadagnare poco per partire in quel modo e così se la prese comoda al via.

 

Ed ebbe ragione. Sul finire degli anni 60 i primi passi di una rivoluzione che segnò il mondiale: l’arrivo dello sponsor del tabacco. Sulle Lotus di Champman, il geniale progettista inglese, compare la scritta Gold Leaf riferita a un pacchetto di sigarette. Fino a quel momento, ad esclusione della Eldorado, gelati, su una Maserati, tutti i marchi era legati solo al mondo delle auto. E sempre sul finire del decennio comparvero gli alettoni. Dapprima piccole appendici, poi sempre più grandi, enormi. Fino a quando si ruppero al GP di Spagna mandando fuori strada le due Lotus che con Hill e Rindt rischiarono la pelle. La federazione intervenne, ma la strada era tracciata. Si entrava di corsa verso gli anni 70. Sponsor, soldi, aerodinamica, ricerca avanzata. Ma si moriva ancora.

il seguito alla prossima puntata

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