LMX SIREX, UN SOGNO ITALIANO FINITO TROPPO PRESTO

Testo e foto MARCO FERRERO

 

Il MAUTO (Museo dell’Automobile di Torino) non si ferma più; dalla sua riapertura, occorsa un paio di anni fa tra i mille problemi connessi alla pandemia, e dopo un consistente lavoro di riorganizzazione interna che ne ha valorizzato il percorso ed i contenuti, la mostra permanente torinese sta continuando a distinguersi per l’ospitare eventi e rassegne tematiche di assoluto interesse.

Tra l’ultima, quella chiamata “Fake”, dedicata ai falsi, di cui si è reso conto alla sua apertura, e la prossima, incentrata sul mondo dei rallyes nella quale si potranno ammirare esemplari di grande valore economico e sportivo, si inserisce, da un mese circa a questa parte, e sino al 20 di novembre, la mostra “Sportiva d’Autore”, dedicata, unico evento dopo cinquant’anni, a cinque rarissimi esemplari della LMX Sirex (più un telaio ed una scocca in restauro), una vettura coupé due posti prodotta in poco più di quaranta esemplari dal 1968 al 1973, un sogno imprenditoriale ed automobilistico finito troppo presto e certamente caduto nel dimenticatoio.

La LMX Sirex era una vettura sportiva due porte e 2 posti prodotta dalla LMX Automobile S.R.L. (dove LMX è l’acronimo di Linea Moderna Executive), di cui fu l’unico modello prodotto, azienda fondata da Michel Liprandi e Giovanni Mandelli, avvalendosi della collaborazione di Franco Scaglione per il design.

Il progetto, peraltro interessante per i suoi tempi, non poteva però contare su una disponibilità di fondi adeguata per il suo sviluppo successivo, e sin dalla sua presentazione, al Salone dell’Automobile del 1968, avvenuta, non potendo contare sul denaro necessario per disporre di uno stand, nella “exhibition hall” della rassegna, si configurò come un progetto ardito che avrebbe incontrato non poche difficoltà.

La vettura era equipaggiata dal propulsore V6 di 2.3 litri di cilindrata della Ford Taunus (più una versione sovralimentata con prospettive sportive), in grado di sviluppare una potenza di 126 cavalli e, grazie al peso ridotto, inferiore alla tonnellata, ed ad un‘aerodinamica curata, di raggiungere una velocità massima di 200 chilometri orari; purtroppo, causa le già citate problematiche legate ai costi, la LMX fu prodotta in appena 30 esemplari con carrozzeria chiusa e 2 in versione spider tra il 1968 e il 1972.

Il fallimento dell’azienda portò a che i restanti 20 telai furono assemblati non più rispettando le specifiche originali, sia negli interni che nelle motoristiche, laddove al propulsore venne aggiunto un turbocompressore May-Bosch, e furono destinati alla vendita sul mercato estetico; la vettura, a beneficio dei collezionisti e per coloro che avessero qualche tentazione in merito, che ai tempi aveva un costo d’acquisto pari ad una Dino 206, non poco per i tempi, ha una valutazione sul mercato delle storiche che può arrivare sino a 50.000 euro, ma si dovrebbe tenere anche conto che qualunque tipo di restauro comporterebbe costi rilevanti, stante l’assenza di parti di ricambio sul mercato.

Una storia che merita di essere ricordata, un’iniziativa imprenditoriale potenzialmente valida ed interessante segno di quanto il mondo dei motori di quei tempi potesse esprimere, un “sogno” che purtroppo è rimasto tale ed è durato troppo poco per lasciare un segno indelebile, un omaggio ed un’eredità che però si spera possa essere un insegnamento ed uno stimolo per chi voglia cimentarsi nell’inseguire, tramite un progetto, i propri sogni

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