F.1 padre e figli: Gilles e Jacques Villeneuve, il cuore e la mente che sapevano scaldare il tifo

DI GIUSEPPE MAGNI FOTO RACINGWORLD.IT

Papà Gilles era un pilota solo cuore. Andava sempre al massimo delle possibilità del mezzo che aveva, si trattasse della Ferrari F.1, della 308 GTS con cui fece Montecarlo-Maranello in due ore e venticinque minuti, sia che si trattasse dell’elicottero. Saliva sul mezzo e spingeva, spingeva, flat out sempre, comunque e quantunque, contro chiunque è in qualunque condizione. Trascinava le folle oceaniche che accorrevano negli autodromi per vedere solo lui. Perché, quando lui era in pista, lo spettacolo era garantito, la sbandata controllata, il numero di traverso, la frenata oltre il limite erano pane fragrante e delizioso ad ogni giro per noi, affamati di eroi. Lo adoravamo, eravamo tutti ai suoi piedi: quando passava lui, l’emozione di duecentomila persone saliva talmente in alto che sembrava la terra tremasse, ad ogni giro, ad ogni curva, ad ogni assolo di questo giocoliere, di questo funambolo che ci faceva impazzire.

Di gioia, di esaltazione, di amore.

Tante volte, tantissime, quando sono seduto in tribuna e ammiro passare i campioni di oggi, mi accorgo che sto cercando, sto aspettando da loro qualcosa di lui, una correzione oltre il limite, un controsterzo, un numero in controllo di quelli che era capace solo lui. Ancora adesso quando lo penso mi commuovo. Mi commuovo profondamente, perché lui ci ha dato tutto, tutto, anche la sua stessa vita. Non fui d’accordo quando Enzo Ferrari non prese le sue difese contro quel francese, dopo Imola 1982. Questo essere lasciato solo fu poi tragicamente decisivo, la gara dopo per la sua fine.

Montreal 1978, Gilles vince il GP, da sinistra il fratello Jacques, pilota anche lui, la moglie Johanne, il piccolo Jacques e dietro papà Seville

Ma se ne sarebbe andato comunque. Non era fatto per correre qui, su questi poveri circuiti di  questa povera terra. Lui é fatto per correre libero in cielo, per fare a ruotare con Ayrton, con Tazio, con Alberto Ascari, con Ronnie Peterson, con Guy Moll. Chissà come si divertono, lassù, quegli scavezzacolli! E chissà che goduria il grande Enzo Ferrari, Colin Chapman a vederli sfrecciare a ruote fumanti e meccaniche perennemente macinate, distrutte, sbriciolate.

Non ce n’é mai più stato uno come lui. Tantomeno suo figlio.

Freddino interprete di una F.1 già troppo diversa da quella di Gilles. Tanto cuore ci metteva il padre, tanto cervello e cinismo il figlio. Due mondi diversi. Uno esaltava per quello che faceva, l’altro per il nome che portava. Vedere vincere Jacques il mondiale è sembrato, a tanti di noi, una compensazione per quel mondiale tolto a Gilles. Poi, una volta compiuta l’opera, di Jacques si sono perse le tracce. Resta qualcosa nel parlare, nel modo di dire senza peli sulla lingua, in maniera onesta, quello che si pensa. Anche se sbagliato. Ma pronti a farsene carico perché la paura, in casa Villeneuve, è un termine sconosciuto.

Padre e figlio, cercare analogie è difficile, impossibile.

Uno esaltava le folle, l’altro le riscaldava. Uno faceva il numero imprevedibile, l’altro tutto nella norma. Ad eccezione di quella Jerez 1997 dove il “complice” fu Michael Schumacher, capace di buttare via un titolo che era più facile vincere che perdere. Altre epoche, altri piloti. Altri confronti ora improponibili. Adesso Gilles sarebbe perennemente under investigation, senza punti sulla patente, squalificato. Ma non per noi, che lo abbiamo potuto vedere, che lo abbiamo potuto ammirare, quasi toccare, e che ancora adesso ci facciamo trascinare in quella staccata che ci strappa il cuore, in quel sovrasterzo che ci eleva l’anima, in quella partenza che ci fa trattenere il fiato e ci fa piangere. Di felicità.

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