F.1 Gp Austria, quando la passione ti spingeva a soffrire pur di esserci in pista

Eccoci a Spielberg. O, per i nostalgici, Zeltweg. È davvero singolare constatare come gli antichi templi della velocità, quelli dove, fin dai primi tempi dell’automobilismo, si celebravano le ruggenti e struggenti sfide dei primi eroi, si trovino, ancora oggi, in luoghi isolati, lontani dai centri urbani. Quasi estranei a quella civiltà che, se da una parte sembrava esaltata dal progresso tecnologico e dalla rivoluzione portata proprio dall’automobilismo, dall’altra quasi la negava, con quelle prime sfide così esaltanti, tanto cruente, quasi crudeli, nella loro voracità fatta da troppi sacrifici, troppo sangue versato. Anche Zeltweg, scusate, Spielberg non fa eccezione. Situato nel bel mezzo della Stiria, ridentissima regione austriaca da passarci rilassanti vacanze estive, il luogo è praticamente sperduto nel nulla di un verde quasi aggressivo, tanto è invadente e totalizzante dell’intero paesaggio.

 

 

Ebbene, anche qui, come a Spa, al Nurburgring o a Monza, mise radici già negli anni cinquanta una certa voglia di sfida motoristica, sia a due che a quattro ruote. Si ha traccia delle prime gare in questa zona in quegli anni, il circuito nacque poi alla metà degli anni sessanta, culminando con la configurazione più bella, denominata Osterreichring, nel 1969. Un nastro d’asfalto sublime, adagiato sulle colline della Stiria, con curvoni ad ampio raggio che seguivano pari pari le dolci ondulazioni del terreno. Un saliscendi mozzafiato, una montagna russa continua, a filo di guard rail, che esaltava il coraggio e l’incoscienza di chi aveva gli attributi giusti e sapeva paventarli al momento opportuno. La versione moderna, chiamata Red Bull ring, è decisamente un’altra cosa. Ma mantiene dei tratti, tipo la zona della Texaco Schikane, che ridestano i vecchi entusiasmi, fanno vedere ancora oggi l’automobilismo vero, quello fatto di coraggio, talento e abilità. Confortato da un livello di sicurezza che evita grandi rischi agli eroi moderni.

 

Certo, chi ricorda l’Osterreichring, dove a ferragosto si svolgeva quello che si definìva il terzo gran premio italiano, tanti erano i connazionali che accorrevano qui a vedere la gara, rimane un po’ disorientato nel vedere la nuova Curva Bosch, o come hanno tagliato la prima, meravigliosa parte fino alla Dr. Tirok Kurve. Ma credo valga ancora la pena di venirci. Infatti oggi, di venerdì, c’è già tanta gente, tantissimi appassionati assiepati nei campeggi e nei prati sulla collina. La Formula Uno anima di passione e spettacolo questo posto sperduto, illuminandolo col sorriso felice di tanti tifosi, che sono venuti qui a vedere dal vivo questi saliscendi meravigliosi, che, se potessero parlare, avrebbero migliaia di storie da raccontare. Vale davvero la pena venire qui a godersi lo spettacolo.

 

Tra i tifosi di Max Verstappen e quelli arrivati dalla Germania e dall’Italia, tra cui una meravigliosa famiglia di Perugia, con due figli piccoli al seguito. E c’è pure, sulla tribuna dopo la Castrol Edge, la prima curva un gruppo di bambini festanti, che, tutti in fila per due, hanno raggiunto la loro tribuna sulla salita che va verso la Remus Kurve e si sono scatenati nel tifo più bello, più genuino, più spontaneo. Quello che forse si aveva tutti in quegli anni, quelli del terzo gran premio italiano, dove venivamo su in sessantamila a fare il tifo per la 
Ferrari. E, se poi vinceva Vittorione Brambilla o Elio De Angelis, andava benissimo lo stesso. Vorrei che fossimo qui ancora tutti anche oggi, con la spontaneità e la felicità di questi bambini. Mi sono seduto anche io accanto a loro, a sventolare le bandiere, ad applaudire, ad incitare tutti. La Formula Uno è bella solo così.

 

 

 

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