F.1 GP MONACO Un venerdì fra chi pennella e chi rema in curva

TESTO E FOTO DI GIUSEPPE MAGNI

 

Monte-Carlo. Venerdì. Mezzogiorno. La quiete della pit lane viene interrotta da un ordine silenzioso, ma perentorio e valido per tutti. I meccanici di tutte e venti le squadre partecipanti al Campionato del Mondo della Formula 1 portano fuori dai box una delle loro due creature, posizionandole in bella mostra a favore dei fortunati che aspettavano devoti oltre i nastri.

Qualcuno finge fredda curiosità tecnica, dandosi un contegno ingegneristico e facendo crepitare la macchina fotografica inquadrando ogni particolare tecnico aerodinamico visibile dall’occhio umano. Altri, ben vestiti, sorridono, improvvisando selfie da ogni angolazione e da ogni posizione. Altri ancora rimangono a bocca aperta, quasi inebetiti, di fronte a cotanta, strafottente bellezza. La maggiore concentrazione di telecamere, fotocamere e curiosi di tutti i generi e razze è calamitata dalla nuova versione della Mercedes, giunta qui con la versione B della sua W14, e, manco a dirlo, dalla Ferrari SF-23, che si ha così un bel dire a inveire che va piano, che non è competitiva, che ha una finstra di utilizzo degli pneumatici troppo stretta, troppo critica, ma, quando te la ritrovi davanti, è veramente impossibile non rimanerne ammaliati.

La SF-23 vista da vicino è di una avvenenza che poche Ferrari hanno avuto anche in passato. Bassa, filante, sensualmente affusolata, con appendici aerodinamiche, a partire dalle bocche di raffreddamento delle fiancate, che sembrano sculture michelangiolesche. Si dimentica qualsiasi presunta amarezza, qualsiasi rammarico, si rimane lì, come di fronte ad un dipinto di un artista famoso, come di fronte ad una scultura senza tempo, con lei che ostenta indifferenza, tirandosela non poco. Ma, bella com’è, tutto le si concede, anche si far sospirare per l’ennesima volta le miriadi di tifosi accorsi ad ammirarla qui e le centinaia di milioni davanti ai televisori in tutto il mondo.

Qualche squadra approfitta per fare training di pit stop, segnatamente la Aston Martin e la Mercedes. Assistervi da un passo dà davvero la misura di quanto siano speciali i ragazzi delle pit crew. Una quindicina di persone che si muovono sincronizzati come gli ingranaggi di un orologio svizzero, sostituendo tutti e quattro gli pneumatici in un tempo in cui lo spettatore occasionale fa davvero fatica a capire se li abbiano davvero tolti e rimessi tutti e quattro.

Alla terza o quarta simulazione, ci si concentra su una ruota sola e allora sì, si riesce a percepire nitidamente che appena la monoposto si ferma c’è un rapido crepitio di mitragliatrice, due mani e braccia robuste che tolgono la ruota e altre due altrettanto robuste quanto rapide che ne mettono un’altra, segue un’altra rapida mitragliata e il gioco è fatto. Solo che io a scriverlo e voi a leggere ci abbiamo messo 10 volte il tempo in cui loro compiono l’operazione. Non solo i piloti meritano la nostra considerazione e il nostro affetto: questi ragazzi sono davvero incredibili, nella loro abilità. E, se qualche rarissima volta non risultano perfetti, dobbiamo comunque loro rispetto sempiterna ammirazione.

Nel far cadere lo sguardo sulle varie forme delle monoposto, non ho potuto fare a meno di notare la rinnovata complessità di tutte le innumerevoli piccole, grandi appendici aerodinamiche di cui sono vestite anche queste versioni di Formula 1 che, nello spirito di chi ha steso il nuovo regolamento tecnico entrato in vigore nel 2022, avrebbero forse dovuto essere più standardizzate, più uguali l’una all’altra, per cercare di uniformarne un po’ le prestazioni ed evitare che qualche squadra prendesse la supremazia assoluta sulle altre.

Niente di più disatteso! Tra alette, alettine, deflettori, forme stranissime e svergolate dei fondi e anche delle stesse fiancate, si è assoggettata ancora una volta l’intera categoria alle dure e spietate leggi della aerodinamica, con addirittura qualcuno che oltre a ciò, risulta addirittura più bravo a far funzionare il drs rispetto a tutti gli altri. Bisogna rendergliene merito, certamente. Sono bravi e meritano solo ammirazione e applausi. Ma forse non era questo lo spirito del legislatore, quando ha pensato al futuro della categoria. Intendiamoci: viste da vicino sono tutte creature avvenenti e affascinanti, ma per il tifoso comune è davvero problematico capire perché una macchina va più forte dell’altra, nonostante fior di specialisti in materia tentino di spiegarci un giorno sì e l’altro pure i segreti del outwash e del drs magico.

Mentre mi pervadono questi pensieri un raggio di sole fa scintillare il verde della Aston Martin di Fernando Alonso: è un lampo che riporta il sereno. Bando alle ciance e ai cattivi pensieri. Qui può dire molto anche il pilota, oltre a tutti gli ammennicoli appiccicati alle carrozzerie. E’ sempre stata soprattutto una sfida tra uomini, tra uomini veri. E lo sarà anche domani. E lo sarà anche questa volta! Lunga vita al Grand Prix de Monaco!

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