F.1 GP FRANCIA Come pennellare Le Beausset e Signes con la Ferrari

TESTO E FOTO DI GIUSEPPE MAGNI

No, non credo che ce l’avrei mai fatta. Un po’ ci confidavo. Un po’ mi sono buttato così, sull’onda di un trasporto irrefrenabile. Alla fine il Mistral, il caro, vecchio Mistral, vento che da sempre domina queste alture, è arrivato a soffiare benevolo sull’arsura bollente di questo altopiano, permettendomi una sopravvivenza davvero altrimenti problematica. Avevo deciso, al solito, di seguire le prove libere dalla pista, dirigendomi verso le ultime curve, la Virage du Pont e la Virage de La Tour. Lì c’è una bella tribuna coperta e si sta ancora abbastanza bene. Soprattutto si possono ammirare le monoposto, sparate velocissime dentro il bel curvone de La Tour, frenare forte fino quasi a fermarsi per affrontare il rampino della Virage du Pont.

E’ una frenata davvero critica, che inizia quasi quando le monoposto non hanno ancora completato l’uscita dalla curva precedente, non sono infrequenti i bloccaggi, soprattutto nella prima giornata di libere, dove squadre e piloti si concentrano per trovare il bilanciamento e l’assetto ottimale per sfruttare al meglio le performance delle monoposto e soprattutto ottimizzare lo sfruttamento delle varie coperture a disposizione.

Lì, all’ombra della tribuna coperta, ci si sente quasi bene, anche se la calura si avverte. Dopo poco proseguo il mio spostamento verso est, raggiungendo la Double Droite De Beausset. Una curva a destra a larghissimo raggio, interminabile, infinita, profonda quanto lo sconquasso provocato dagli infiniti G di gravità inflitti sul collo dei piloti, in un inferno che curvi, curvi ancora, e ancora e ancora e sembra non finire mai. Indugio su questo spettacolo e lo gusto da ogni angolazione possibile, in entrata, dove: si frena? Non si frena?

Si molla solo un po’? Poi appena entrati, aggrappati alla cloche insieme ad ognuno dei ragazzi, mentre le forze centrifughe sembrano risucchiarli dai loro angusti abitacoli. Poi ancora in uscita, dove sembra di poter raddrizzare e accelerare e invece no, perché non è ancora finita: si curva ancora, stavolta un po’ più seccamente, facendola girare e facendoci girare la testa, quasi scivolando sulle quattro ruote verso l’esterno, in una musica diventata altissima e sublime, come la classe di questi ragazzi, capaci di portare i loro missili in questo girone dantesco ed uscirne con una abilità che strappa dal seggiolino, che strappa applausi, che strappa il cuore.

Sono lì, immobile a fissare ed ascoltare questo toccasana dei sensi, questa meraviglia della tecnica e della capacità umana, quando mi sfugge lo sguardo in alto e la vedo: Signes. E’ come una calamita che, nonostante il caldo e l’arsura, mi porta là. E mi inchioda.

Ad una emozione antica, a quel quarto posto all’esordio di tale Jean Alesi su Tyrrell, che qui, proprio qui, dava spettacolo vero. Torno, gola ed esofago reclamano refrigerio. Mi metto in fila per una birra. Dopo mezz’ora tocca a me. Pregusto la birra scorrere lungo le pareti riarse della gola. “I’m sorry, you have to pay by credit card, only!” mi dice il ragazzo del bar. Non ce l’ho con me…

Solo le emozioni appena vissute mi danno la forza di tornare da dove sono venuto, per trovare finalmente conforto. Ma che bello essere qui…

GIUSEPPE MAGNI

 

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