FORMULA E, LA CRISI DEL SETTIMO ANNO

Testo e foto MARCO FERRERO

 

Stante un detto popolare i matrimoni subirebbero una crisi al loro settimo anno, una questione che non pare legata a tradizioni od a elementi di natura cultural / popolare, ma piuttosto ad elementi di natura statistica, stante i quali parrebbe come si abbia un incremento significativo delle separazioni coniugali raggiunto tale limite temporale.

La Formula E è giunta alla sua settima stagione, quella che avrebbe dovuto essere quella della sua definitiva consacrazione, stante come nella stessa, per la prima volta, verranno attribuiti titoli iridati, eppure è di tutta evidenza come la disciplina stia attraversando, più di altre discipline, un periodo di profonda crisi, attestato dal fatto che al termine della corrente stagione due dei marchi più rappresentativi, Audi e BMW, abbandoneranno la serie; il “concept”, stante il quale l’evento si svolge nelle città, vicino al pubblico, è stato pesantemente condizionato dalle regole di distanziamento sociale e di divieto di assembramento introdotte, generando a sfavore della serie una penalizzazione i cui effetti sono a tutti visibili.

Una crisi che, se vogliamo, poteva essere per certi versi intuita, dato che specie nelle ultime due stagioni, contrariamente alle prime laddove venivano ingaggiati “grandi nomi”, piloti con trascorsi importanti e palmarés di tutto rilievo, le squadre, salvo poche e debite eccezioni, hanno posto sotto contratto “seconde scelte” o piloti non certo di grande attrattiva od appeal, in tal modo abbassando il livello tecnico medio della serie, e prova ne è che il titolo se lo sono giocati i ”grandi” piloti.

Un campionato che, tuttavia e come si può estrarre dallo specchietto che segue, nel quale anno per anno sono state identificate le squadre partecipanti, con evidenza in verde dell’annata di ingresso ed in giallo quella dell’uscita, aveva evidenziato sinora una certa stabilità nella partecipazione; a parte Trulli, HWA ed Aguri, le cui presenze sono state circoscritte e caratterizzate da problemi di varia natura, tecnici piuttosto che economici, che ne hanno causato il ritiro, ed il passaggio da Renault a Nissan, la militanza dei team nella serie è di fatto storica e consolidata.

Gli abbandoni di Audi e BMW si configurano sicuramente in due contesti differenti, per Audi, stante a quanto dichiarato, più identificabile nell’ingresso in Formula E di Porsche (stesso gruppo), con l’intendimento di evitare, almeno in Formula E, sovrapposizioni, mentre per BMW, che peraltro appariva squadra in crescita, le ragioni sono meno evidenti.

 

 

Volendo tentare di comprendere le ragioni dell’abbandono dei due colossi tedeschi, emergono tuttavia elementi contrastanti su ciascuna delle ragioni: difficile pensare che si tratti di questioni meramente economiche, stante come si stia parlando di due colossi che non hanno certamente problematiche significative in ambito finanziario, anche se i costi di una squadra per una stagione di Formula E si aggirano, per quanto acquisito, mediamente sui 20 milioni / anno, con punte più elevate per i top team.

Poco attendibile che questa sia la ragione principale per il ritiro; BMW era in crescita alla sua terza stagione, ed aveva appena ingaggiato Maximilian Gunther, uno dei “predestinati” futuri della serie, mentre per quanto riguarda Audi, che aveva quest’anno presentato la propria nuova PU con cui corre anche Envision, è vero che il gruppo di appartenenza ha chiuso il reparto corse Volkswagen, ma ha confermato il suo impegno nel WEC (World Endurance Championship), serie certamente più onerosa della Formula E e dove si troverà Porsche, sua compagna di “gruppo”, come rivale.

In tema di costi, è da annotare come lo sviluppo della “Gen3” possa configurare un limite, e stia generando ai partecipanti costi di qualche milione di Euro per lo sviluppo delle nuove PU, un costo che l’attuale situazione non garantisce in termini di ritorno, e che comunque potrebbe risultare più faticosamente sostenibile da parte delle “piccole” squadre.

Sicuramente quanto in essere da un anno a questa parte ha generato pesanti ripercussioni in termini commerciali, con la serie che, grazie anche a qualche clamoroso autogol in tema di comunicazione, molto ha perso in termini di visibilità e di interesse; questo in effetti può risultare un problema, laddove i “marchi” non possono contare su un effetto indotto sul pubblico generato dalle gare e dai messaggi in tema di sostenibilità ambientale che venivano inviati.

Certamente si potrebbe pensare che eventuali mancati introiti abbiano potuto condizionare certe decisioni (più per BMW che per Audi che corre ugualmente in tante altre competizioni; di nuovo, sostenibile sino a un certo punto (si ricordi come lo scorso anno le ultime sei gare si siano disputate in Germania, in “casa” di Audi e BMW). La Formula E, in questa fase, viene vista dalle case più come una forma di “investimento” che di “reddito”, una sorta di costo pubblicitario, e sinora questo approccio era risultato positivo; la pandemia, almeno lo si spera, non andrà avanti in eterno, per cui prima o poi si dovrebbe tornare allo “status quo” di un paio di anni fa.

Ci sono invece altri due elementi, più nascosti e forse più importanti, che potrebbero aver influito sulla decisione di Audi e BMW: il primo è di ordine strategico, laddove, ricordando che un colosso come Toyota ha annunciato che smetterà lo sviluppo dei motori elettrici per passare ad altre fonti, quali l’idrogeno, ed anche Tesla ha cambiato alcune proprie strategie, l’elettrico potrebbe essere considerato in fase “calante” nella sua parabola e come tale non più così appetibile nel medio termine.

Una “Gen3” di breve durata che dovesse portare i team allo sviluppo di una “Gen4” decisamente onerosa e magari poco profittevole a favore di altre tipologie di motori alternativi potrebbe aver consigliato le due case tedesche a fare un passo indietro in attesa delle evoluzioni future.

Un ultimo punto, non meno importante, potrebbe essere legato a questioni “politiche” all’interno dell’ambiente; posto che non sia dato sapere quali accordi siano nel passato e nel presente intercorsi tra team ed organizzatori e su quali pilastri si fondi l’equilibrio del sistema, il sempre fragile equilibrio che regna in questi casi potrebbe aver subito qualche contraccolpo (con il beneplacito di quest’ultima annata disgraziata), generando alcune fratture ad alti livelli (e Audi e BMW possono essere considerate a quel livello).

Le voci che circolavano lo scorso anno in merito alla successione di Alejandro Agag nel ruolo di Jean Todt, per noi comuni mortali ininfluenti, ed altri elementi meno identificabili, potrebbero aver creato un “braccio di ferro” e qualche frattura (ed in quel caso gli interessi economici potrebbero essere rilevanti) e portato ad una presa di posizione “clamorosa”, che non è detto non possa essere “recuperata” successivamente.

L’ultima intervista rilasciata dal CEO della Formula E ha fatto menzione ad una sorta di “patto della concordia” dove in essere c’è la redistribuzione dei proventi della disciplina; evitando indecorosi paragoni con il mondo del calcio potrebbe essere, tutto da dimostrare, che l’annuncio, di fatto congiunto, e magari strategicamente concordato preventivamente. dell’abbandono delle due case tedesche fosse una mossa per accelerare la discussione del problema, sempre il solito, del denaro da spartire.

Difficile, quasi impossibile, pensare che case come Audi e BMW non abbiano, in condizioni “normali”,  una pianificazione sportiva quanto meno di medio termine; apparentemente, due decisioni inspiegabili, sicuramente due prese di posizione che trovano radice in motivazioni ben precise, il tutto da verificare già da fine campionato 2021 con il destino dei piloti dei team, se non magari prima.

Condividi su: