IL WEC VISTO DA BORDO PISTA

Testo e foto MARCO FERRERO

 

Manifestazioni sportive come il World Endurance Championship, che nel caso di specie perpetrano la tradizione delle grandi gare di durata, quali la 24 Ore di Le Mans o di Daytona, la 12 Ore di Sebring od altre ancora che hanno segnato pietre miliari nella storia dell’automobilismo, meritano sicuramente di essere seguite, a maggior ragione per quanto riguarda l’evento di Monza, sul cui tracciato i prototipi della serie in svolgimento dal 2012 gareggiano per la prima volta in assoluto.

L’ultima volta che il “tempio della velocità” fu teatro di una gara Endurance, ma allora erano gare più brevi, risale all’ormai lontano 1992, l’ultimo anno di quel campionato mondiale che vedeva in pista le “Gruppo C”, l’ultimo svoltosi prima che una sosta forzata durata quasi venti anni, fino al 2010, non avesse ingloriosamente quasi fatto finire nel dimenticatoio quello che negli anni ’70 era, con la Formula 1, il campionato titolato più importante per vetture a ruote coperte.

Le modalità, semplificando il discorso, possono sostanzialmente essere ridotte a tre: da casa, magari comodamente seduti sul divano sorseggiando il fantozziano boccale di birra, dalle tribune dell’autodromo, via certamente più “partecipativa” e tipica dei grandi appassionati che per nulla al mondo vorrebbero perdersi il sound dei motori o vedere da vicino quei bolidi, o da bordo pista, di stretto appannaggio degli addetti ai lavori, fotografi piuttosto che commissari od addetti antincendio, a vario titolo direttamente od indirettamente coinvolti nello svolgimento dell’evento.

Posto che le tre modalità su citate, per tutta una serie di ragioni anche troppo ovvie per essere declinate, non siano liberamente opzionabili o sovrapponibili, approfittando di quella che appare come la posizione più “privilegiata” l’intendimento è quello di rendere l’idea di come possa essere visto un evento come il World Endurance Championship da bordo pista.

I passaggi chiave dell’autodromo di Monza, quelli più indicativi del comportamento delle vetture e dei loro piloti, e, diciamolo chiaramente, i più spettacolari, si racchiudono sostanzialmente in tre elementi, la prima variante, la seconda variante e la variante Ascari; i passaggi sui cordoli, mai banali e sempre e comunque insidiosi, che i piloti affrontano non senza qualche patema d’animo ad ogni giro, regalano emozioni e, talora, qualche sorpresa o qualche colpo di scena.

Per un’altra prospettiva affascinante é necessario dirigersi all’interno dell’ingresso della curva parabolica, dove vi sono due punti magari meno spettacolari ma non per questo meno interessanti; se da un canto la torretta regala l’opportunità di valutare dall’alto le traiettorie in ingresso che i piloti scelgono, dall’altro le sottostanti feritoie consentono una visione privilegiata veramente ravvicinata dei passaggi delle vetture, che passano ad una distanza certamente inferiore ai cinque metri dal punto in cui si è siti.

Al pari di tutti gli altri eventi, la partenza sull’anello monzese é, considerato come tutto il gruppo arrivi compatto alla staccata della stretta prima variante, uno dei momenti più critici di tutta la gara; forse una gara endurance, che viene giocata sulle strategie scelte per tutto l’arco delle competizione, è meno soggetta a contatti ed incidenti, anche considerato come la maggior parte dei piloti siano altamente esperti e di grande intelligenza, e pertanto capaci di resistere alla “tentazione” di guadagnare subito qualche posizione a mezzo di una manovra azzardata.

Un’ultima parola riguardante le vetture in pista; in capo a due anni la serie si arricchirà, stante a quanto noto ad oggi, quanto meno delle hypercar Audi, Ferrari, Peugeot, Porsche, con ciò non escludendo che qualche altro costruttore possa aggregarsi a queste case, con ciò andando a ricostituire quel “parco vetture” che aveva caratterizzato I campionati di fine anni ’80 – inizio anni ’90.

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