IL DTM COME L’ARABA FENICE

Testo e foto MARCO FERRERO

 

Certamente quasi tutti sono a conoscenza della saga dell’Araba Fenice, il mitologico uccello che l’allegoria racconta in grado di rinascere dalle proprie ceneri; un mito fantastico, certamente, che nell’automobilismo sportivo moderno ha saputo impersonificarsi nel Deutsche Tourenwagen Masters (nei primi tre anni della sua storia Meisterschaft), più comunemente conosciuto come DTM, la serie tedesca la cui storia più di altre può riportare a questa allegoria.

Il campionato, nato nel 1984 con un regolamento “dedicato” alle vetture di Gruppo A, ed in seguito via via adattato e modificato sino al 1992 per permettere l’ingresso ai modelli “evoluzione”, aveva toccato il suo più elevato punto evolutivo nel 1993, quando le vetture, veri e propri prototipi da corsa, furono dotate di telai tubolari e di motori di 2.500 cc che ricorrevano ampiamente all’elettronica che, inevitabilmente, divennero economicamente insostenibili.

L’aumento continuo e quasi esponenziale dei costi per questo tipo di vetture, in aggiunta a quelli di trasferte all’altro capo del pianeta, il tutto senza che i diritti televisivi garantissero un adeguato ritorno, ed alcune scelte poco “felici”, come quella di “blindare” i paddock evitando l’ingresso ai non addetti ai lavori o di aumentare i prezzi dei biglietti a livelli non sostenibili, portarono nel 1996 il campionato alla sua fine.

Nel 2000 il campionato come per incanto rinacque, cercando di fare tesoro degli errori commessi un quinquennio prima, soprattutto cercando di evitare quella proliferazione dei costi che ne aveva generato la precedente fine; un primo periodo ci crisi si ebbe comunque sino al 2004, quando in pista corsero le coupé, fino a quando i costruttori non si accordarono per far si che a correre fossero berline derivate dalla serie, vere e proprie “silhouettes”.

Tutto ciò non è bastato per far sì che, tra alti e (soprattutto) bassi, che la serie, causa sempre i costi, nonostante l’adozione di particolari comuni (cambi, freni e pneumatici), abbia nel tempo continuato a palesare una crisi sempre più evidente; dopo un 2019 desolante, nel quale solo Audi, Mercedes ed Aston Martin (solo per quell’annata) erano presenti, il 2020 si apriva con la notizia shock che Audi a fine stagione avrebbe abbandonato definitivamente la serie.

Con la sola Mercedes a presenziare la serie sembrava giunta alla sua fine definitiva e che il 2021 avrebbe perso una serie che dal 1984 aveva entusiasmato i tifosi, soprattutto quelli tedeschi (e quelli italiani che nel ’93 avevano visto la vittoria di Larini e dell’Alfa 155), ma ancora una volta l’Araba Fenice ha saputo risorgere dalle sue ceneri, ed anche in questa stagione la serie tedesca sarà parte del panorama automobilistico sportivo.

Certamente il passaggio a vetture di classe GT3 consentirà ai team partecipanti di presenziare senza l’assillo di doversi “svenare”, in quanto la categoria ha costi tutto sommato “sostenibili” e trova per questo larga partecipazione anche in altre competizioni continentali; un passaggio “forte”, che ha rotto con la tradizione del passato che vedeva vetture di fatto “dedicate” alla serie, ma, forse, un’evoluzione necessaria per la sopravvivenza della stessa.

E chissà che, in questa “rinascita”, non si abbia prima o poi anche un’altra Araba Fenice, quella della vittoria di un italiano nella serie, dopo quelle di Ravaglia nel 1989 con la BMW e quella di Larini con l’Alfa Romeo nel 1993; in fondo, come dice il detto, “non c’è due senza tre”, sperare non costa nulla e, come si è visto, spesso i ”miracoli” accadono…

Certamente un segno di una volontà ferma di non voler alzare bandiera bianca un’altra volta, di dimostrare che il DTM avrebbe saputo essere più forte di tutte le circostanze sfavorevoli, della capacità di voler e saper prendere atto degli errori commessi, un approccio manageriale da parte di Gerhard Berger e del suo staff che sembra premiarli, e per il quale siamo felici di poter fare loro i migliori auguri che la saga continui ancora per lungo tempo.

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