Ricordando Senna. "Il grande sogno di Ayrton: aiutare i bambini poveri"

 Ayrton Senna col padre Milton Da Silva

 

Un giorno lontano nel tempo ma non nella memoria

 

San Paolo, Brasile, qualche tempo dopo. Il primo maggio del 1994 è lontano nel tempo ma non nella memoria. Al cimitero di Morumbi il verde fa da contrasto con il cemento delle costruzioni che lo circondano. Quasi al centro della collina, si erge un albero e sotto all’albero ci sono moltissimi mazzi di fiori colorati, sotto ai fiori una lapide di ottone di una trentina di centimetri per lato e una iscrizione: Ayrton Senna, nato il 21 marzo 1960, morto il 1° maggio 1994. Più sotto un motto: “niente mi può separare dall’amore di Dio”.

Tutto qua, di Ayrton Senna Da Silva non c’è rimasto molto da quel giorno a Imola. Solo il dolore di chi lo ha amato e conosciuto. Lasciamo il cimitero, riprendiamo la macchina e ci infiliamo nel traffico caotico di San Paolo. Costeggiamo la Marginal Pinheiros, prendiamo a nord verso l’aeroporto, superiamo il ponte sulla Marginal Teitè e infiliamo il quartiere Santana, estremo nord di San Paolo. C’è un edificio alto e grigio dove ci aspetta Milton Da Silva.

 

Settembre 1990: quando conobbi Senna

 

Milton è il papà di Ayrton e lo seguiva sempre quando correva in F.1, specie nei primi tempi, ma la salute non gli permise di essergli vicino nelle ultime due stagioni. Fu grazie a Milton che conobbi Ayrton Senna. Durante i Gran Premi ci si ritrovava sempre a un tavolo nel motor home della Minardi: “Solo qui sanno fare la pasta come si deve” diceva sempre. Per qualche gara fummo compagni di pranzo grazie all’ospitalità di Giancarlo Minardi.

Milton Da Silva, papà di Ayrton Senna, seguiva sempre il figlio per i circuiti del mondiale senza essere mai invadente. Mangiava alla Minardi e si faceva spiegare le ricette per prepararle ad Ayrton, che avrebbe dovuto correre la sua ultima stagione di F1 proprio con il Team italiano

Un giorno Milton mi chiese: “Quale è il pilota che preferisci?”. Gli risposi secco: “Ho scoperto Ayrton Senna guardandolo in giro per le piste, all’inizio non mi piaceva, ma sa guidare meglio di tutti gli altri. Peccato che sia uno stronzo: tutte le volte che mi avvicino per parlargli mi risponde male e si volta. Non ha capito che faccio il giornalista o forse non gliene frega di Rombo”. Milton mi guardò in faccia e mi disse: “Tranquillo, Ayrton non lo farà più. Vieni con me”.

Ci alzammo da tavola e andammo verso il box della McLaren. Eravamo a Monza, settembre 1990, pochi giorni prima del GP d’Italia. Milton si avvicinò e Senna lo guardò male: “Ayrton, devi parlare con Paolo, hai capito?”. Senna sbuffò, mise il cucchiaio nel piatto di polistirolo che conteneva marmellata e cereali e disse: “Ma papà, sto mangiando, proprio adesso?”. E Milton: “Sì, porque Paulo es amigo meu!”. Milton Da Silva era il padre di Ayrton e io non lo sapevo, avevo dato dello stronzo al figlio e lui, per tutta risposta, mi accompagnò da Ayrton e lo obbligò a rispondermi perché ero un amico e con gli amici Ayrton doveva comportarsi bene!

 

Quel sogno rosso che poi non si concretizzò

 

Avrei voluto nascondermi per la vergogna, ma Senna mi prese da parte, allontanò un meccanico che voleva cacciarmi dai box e si scusò: “Cercavo di te da tempo perché leggo sempre Rombo, ma non ti sei mai fatto riconoscere, scusami e chiedimi quello che vuoi”. Gli domandai della Ferrari e lui rispose serio: “Mi aveva contattato Fiorio per la prossima stagione, ma qualcuno non ha voluto e ho dovuto rinunciare a un precontratto. Scrivilo, che si sappia che avevo un piede alla Ferrari”.

Tornai in sala stampa, il giornale era già in chiusura e non c’era il tempo materiale per usare la notizia. La dissi ad Alberto Sabbatini, che lavorava per la Gazzetta dello Sport dopo che aveva fatto per anni l’inviato a Rombo prima di tornarci, nel 92, come direttore. Alberto andò nei box e chiese conferma a Senna della notizia. Ayrton confermò e sui giornali uscì tutta la storia. Il qualcuno che non lo voleva a Maranello era Alain Prost, che bloccò la mossa di Cesare Fiorio, direttore sportivo della Ferrari. Quell’episodio costò il posto a Fiorio, a maggio dell’anno dopo, dato che Prost gli aveva dichiarato guerra coi vertici aziendali. Nacque così il rapporto professionale con Ayrton Senna: bastava guardarsi in faccia per capirsi e se non voleva rispondere, mi faceva un cenno oppure mi rivolgeva lui la parola.

 

Papà Milton: una presenza costante ma discreta

 

Questo era il passato. Oggi le cose sono diverse. Sono a casa di Ayrton Senna, ospite della famiglia e di papà Milton. Quando Ayrton correva, Milton Da Silva lo seguiva quasi sempre. Se ne stava in disparte nei box, non lo assillava mai. Era una presenza discreta ma costante. Ayrton lo sapeva e ne era contento. Specie nei primi anni di carriera, quelli trascorsi alla McLaren a sfidarsi con Alain Prost. La presenza di Milton era sempre una costante.

 

Quando Ayrton smetterà di correre farà una stagione gratis alla Minardi

 

Ma per non creare ulteriore pressione sul figlio, Milton se ne andava in giro per il paddock, fermandosi spesso a prendere un caffè, o a mangiare un piatto di pasta, presso il motor home della Minardi. Nessuno poteva pensare che il padre del grande Ayrton Senna fosse quel signore tranquillo, con gli occhiali, intento a mangiare un piatto di pasta e a discutere col cuoco la ricetta, perché appena a casa l’avrebbe fatta provare al figlio. “Un giorno, quando Ayrton deciderà di smettere di correre, abbiamo già deciso: l’ultima stagione la farà con la Minardi. E’ una promessa che ci siamo fatti e che quando lo diremo a Giancarlo Minardi, gli verrà un colpo. Perché per ripagarlo di tutti questi piatti di pasta, gli dobbiamo almeno una stagione gratis”.

Non scherzava papà Milton, diceva sul serio. Ce lo confermò Ayrton, un giorno in cui era sereno e tranquillo. “E vuoi mettere come la prenderanno alla Ferrari?” aggiunse divertito. Quel giorno non è mai arrivato, lo sappiamo tutti. Come sappiamo anche il perché. Adesso papà Milton evita la F.1. Quando il circo iridato arriva a San Paolo, se ne scappa in una delle fazende di sua proprietà sparse per il Brasile. L’anno dopo la scomparsa di Ayrton, papà Milton era a Goiania, a un paio d’ore d’aereo da San Paolo. In una fazenda senza TV, senza radio, solo con tutto lo spazio davanti a sé. Con l’unica compagnia del silenzio della campagna dell’entroterra brasiliano e un lontano eco di motori.

 

Paulo es amigo meu

 

Quello di quando Ayrton correva sulle piste di tutto il mondo e lui, Milton, lo seguiva davanti allo schermo TV bevendo un caffè nel box della Minardi. “Paulo es amigo meu”, la stessa frase l’ha ripetuta quando, aprendo una porta di un ufficio, Ron Dennis, Frank Williams, Bernie Ecclestone e “l’odiato” Alain Prost hanno interrotto la discussione e Dennis è sbiancato dicendo a Milton Da Silva: “Ma è un giornalista!”. Milton rispose “Paulo es amigo meu” e chiuse la discussione. La riunione verteva sulle azioni da fare per aiutare la fondazione Senna, di cui questi personaggi fanno parte.

 

Una vita comincia dove l’altra finisce

 

Finita la storia di Ayrton Senna, è cominciata la sua leggenda. La vita di Ayrton si è interrotta quella domenica 1 maggio 1994, sul circuito di Imola, ma la sua opera era appena cominciata. Tramite la Fondazione Ayrton Senna, creata dalla famiglia, con la quale si è deciso di trasformare in realtà uno dei tanti sogni, fra i più nascosti, di Ayrton Senna: aiutare il prossimo. Senza farlo sapere, era una delle sue prerogative. Non lo sapevano in molti e lui ci teneva a quel segreto.

Finita la storia di Ayrton Senna, è cominciata la sua leggenda. La vita di Ayrton si è interrotta quella domenica 1 maggio 1994, sul circuito di Imola, ma la sua opera era appena cominciata tramite la Fondazione Senna

Quando nel 1990 venne a Bologna, come testimonial dell’apertura del Motor Show, Ayrton chiese una cifra di ingaggio, chiedendo però che venisse versata a un determinato istituto che curava i bambini poveri. Chiese solo la ricevuta dell’avvenuto pagamento e la pretesa che nessuno sapesse dell’operazione. Oggi, a capo della Fondazione che porta il nome del pilota brasiliano, c’è la sorella Viviane. Anche lei duramente colpita negli affetti, prima con la perdita del fratello, poi con la morte del marito. Ucciso in un incidente stradale quando stava portando dal meccanico la moto che Ayrton Senna non era mai riuscito ad usare.

 

La Fondazione Ayrton Senna ha dalla sua nascita un grande obiettivo: il sogno di Ayrton. Aiutare i bambini bisognosi

 

Lo scopo della Fondazione Senna

 

Sembra il macabro scherzo di un destino che ha colpito duramente una famiglia molto unita e affiatata. “Ayrton aveva un sogno, dare ai bambini poveri una possibilità. Ne parlavamo spesso, quando vedevamo la realtà brasiliana nelle strade delle nostre città” dice Viviane. E quel sogno si è cominciato a realizzare dopo la morte di Ayrton.

La nascita della Fondazione Senna si occupa proprio di questo: dare una possibilità ai bambini bisognosi: “Quando abbiamo cominciato nel 1995, a un anno dalla scomparsa di Ayrton, il nostro programma di assistenza contava 20 mila bambini. Abbiamo avuto una crescita costante, incredibile, fino al punto che siamo in grado di seguire 270 mila bambini, in tutto il Brasile, con la certezza che a fine 97 erano 300 mila. Oggi abbiamo superato il mezzo milione di assistiti”.

Numeri impressionanti, che però fanno capire come il ricordo di Ayrton Senna sia ancora la molla più forte per proseguire l’opera dello scomparso pilota brasiliano.

A San Paolo, nella sede della Ayrton Senna Promocoes e Imprendimento, gli uffici dedicati alla fondazione hanno preso il sopravvento. Nei giorni del GP del Brasile è stato un continuo via vai di amici, piloti, manager, televisioni, giornalisti. “Quando il mondo della F.1 sbarca in Brasile, la nostra sede viene presa d’assalto”, dice Viviane Senna, “vengono a trovarci gli amici di una volta, come Berger o Ecclestone, viene Alain Prost, Ron Dennis con la moglie, Frank Williams, Rubens Barrichello, poi, è spesso da noi. Rubens ha sempre avuto un rapporto molto stretto con Ayrton. Anche oggi lo ricorda spesso. Noi auguriamo tutto il bene possibile a Rubens, un bravo ragazzo, un uomo pulito dentro”.

 

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