F.1 Il caso Senna, esclusivo parla l'avvocato Bendinelli. Fu un problema meccanico. I retroscena del processo

Sono passati 25 anni dal tragico incidente di Imola che costò la vita ad Ayrton Senna. In occasione dell’anniversario della scomparsa del pilota brasiliano, ricordiamo quanto accaduto con l’avvocato Federico Bendinelli, presidente e ad di SAGIS, gestore dell’Autodromo di Imola all’epoca dei fatti. 

Dopo 25 anni ci sono ancora dei misteri da risolvere, o è stato tutto chiarito?
«Di misteri non ce ne sono, mi sembra che tutto sia stato molto chiaro fin dalla celebrazione del processo. Che l’uscita di pista di Senna sia stata determinata dalla rottura del piantone dello sterzo, che quando è arrivato a Imola era già rovinato per una buona parte della sua superficie, è un dato certo, che è stato ammesso anche dagli uomini della Williams. L’unica differenza è che secondo i periti dell’Aeronautica Militare di Pratica di Mare il piantone era lesionato e quindi ormai rotto per il 45% del suo diametro, mentre la Williams parlava di meno del 50%. Sta di fatto che purtroppo Senna quando in uscita dalla curva del Tamburello si è trovato sostanzialmente senza sterzo, e quindi è andato dritto contro le barriere che delimitavano il circuito».

A sinistra l’avvocato Federico Bendinelli della SAGIS ha seguito tutte le fasi del processo

All’epoca lo stesso Senna, nelle interviste dopo i test a Imola, si lamentava dei salti al Tamburello. Un documento della Commissione Sportiva diceva che per il 1995 l’Autodromo avrebbe dovuto fare dei lavori in merito. C’era una contrapposizione tra chi voleva scaricare le colpe sull’Autodromo, chi sulla Williams e chi parlava di una fatalità: lei che ne pensa?

«La situazione si era già chiarita nelle fasi preliminari della vicenda giudiziaria: infatti nel provvedimento di rinvio a giudizio che ci coinvolse come responsabili dell’Autodromo non ci furono contestate queste asperità del terreno al Tamburello, bensì la mancanza di complanarietà tra il termine della pista e la banchina erbosa che lo delimitava. Quello che ci fu contestato attraverso una lettura totalmente sbagliata della normativa tecnica della FIA era questo: la curva del Tamburello era leggermente in salita verso destra, nella direzione del fiume. La banchina erbosa non seguiva questo andamento ascendente, ma era orizzontale». 

«Quando ci fu chiesto il motivo, facemmo presente che se le banchine avessero dovuto seguire l’allineamento in salita in caso di pioggia tutta l’acqua si sarebbe riversata in pista. Questo vale anche per la parte in cemento. Sul fatto che questa caratteristica avesse impedito la frenata di Senna, secondo i periti nominati dal pm l’impatto era avvenuto circa a 120 km/h, quindi c’era stata una forte decelerazione. Il fatto che determinò l’uscita di pista non fu quello che ci veniva contestato, ma la rottura dello sterzo. Era anche stato detto che poteva esserci stato un effetto negativo dovuto al raffreddamento delle gomme alla ripartenza dopo il regime di Safety Car; anche questo non fu ritenuto determinante».

Nel libro dell’Ing. Giorgio Stirano, perito di parte per conto della Williams, si legge che il piantone era sì rotto al 35%, però la maggior parte del componente era integro. Infatti a discolpa del team erano state portate le manovre compiute da Senna, un controsterzo, a dimostrare che la rottura era stata una conseguenza dell’uscita di pista e non viceversa. Si parla di pochi millesimi di secondo…

«Questa tesi fu sconfessata durante il dibattito processuale. La famosa fotografia pubblicata da Autosprint mostra che quando la macchina di Senna finì contro le barriere lo sterzo era completamente staccato dal piantone ed era finito a terra. Da tutte le indagini che furono effettuate risultò che nessuno aveva staccato il volante dal piantone: questo evidenzia che quest’ultimo era completamente rotto quando Senna arrivò contro le barriere. In sede processuale fu completamente escluso che un piccolo sobbalzo avesse potuto determinare la rottura del componente. Dalle immagini della registrazione si vedeva chiaramente che Senna aveva cercato di sterzare a sinistra, ma la macchina non rispondeva. Già nel momento dell’uscita di pista, il volante non aveva più alcun effetto». 

La Formula 1 da quel giorno di 25 anni fa è cambiata, ma molti dei personaggi coinvolti nella vicenda gravitano ancora in questo mondo. Come si sono evoluti i rapporti?
«Devo dire che i miei rapporti personali sono rimasti ottimi con tutti, non solo con Ecclestone, ma anche con i team manager, a cominciare da Frank Williams, cui sono legato da un rapporto di grande amicizia. Da parte loro non c’è mai stata nessuna contestazione nei miei confronti o verso l’Autodromo. Dirò di più: quando io, subito dopo i fatti di Imola, andai a Montecarlo, il GP successivo, arrivai in albergo e trovai Frank Williams. Andai da lui per salutarlo e gli chiesi se sapesse quello che successo; Frank, con una grandissima onestà intellettuale, mi disse ‘Non sappiamo cosa è successo, ma sicuramente è stato un fatto meccanico’. È evidente che da parte della Williams ci fu da subito la presa di coscienza che fosse successo qualcosa alla macchina. Quando a settembre andai a trovare Ecclestone a Londra, mi consegnò la cassetta che riprendeva le ultime fasi della corsa di Senna, quelle già viste».

Non c’erano quindi altre immagini, giusto?
«No, non c’erano. Ecclestone mi assicurò che fosse così: in quel momento il regista aveva cambiato camera. Sono convinto fosse sincero. In quell’occasione comunicai ad Ecclestone i risultati della perizia dell’Aeronautica sullo sterzo lesionato, e lui mi diss
e ‘Questo lo abbiamo sempre saputo’. Era quasi meravigliato che gliela presentassi come una novità».

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