F.1 GP Francia, passano gli anni ma Signes resta il curvone per eccellenza

Le Castellet. Una amena località del Var, nel sud della Francia, non troppo lontano dal mare. Amena… sì, era bellissimo trent’anni fa arrampicarci fin quassù, in mezzo a vitigni e minuscoli, antichi villaggi provenzali, con le nostre vecchie automobili. Le quali facevano perfino fatica a salire, stanche, dopo seicento allegri chilometri di autostrada. Una volta arrivati qua, ci si accampava, si stendevano i sacchi a pelo al fresco della pineta e si cominciava a sognare… Fino a che il rombo delle Formula Uno arrivava a trafiggerci il cuore, a farci dimenticare le insonnie, ad esaltarci lo spirito, ad elevarci l’anima…

 

Sì, andare a vedere chi riusciva a fare la curva di Signes in pieno era puro esercizio spirituale, mistico, quasi ascetico, oltre che doveroso, per chi veniva fin qua. Si veniva a vedere i Campioni di allora, che si chiamavano Senna, Prost, Mansell, Alboreto, Alesi. Tutta gente che ci mostrava tutte le volte uno spettacolo superlativo, fatto di coraggio, di ardimento al limite dell’incoscienza, se solo pensassimo che all’esterno della terribile Signes c’erano dei paletti che tenevano insieme non ricordo quante file di reti metalliche. In cui più d’uno ci fini rovinosamente dentro, senza per altro farsi mai male quanto temevamo. Era un’altra epoca, un’altra Formula Uno, lo spirito con cui tanta, tantissima gente veniva a vedere la corsa dal vivo era completamente diverso.

 

Non è che all’epoca si spendessero meno soldi per il biglietto, in proporzione, credo costassero più o meno come ora. Certamente si spendeva molto meno per alberghi e cene. Sì, allora c’erano tendine che ci coprivano per tre quarti, quando andava bene, e sacchi a pelo, dato che in queste pinete, anche in questa stagione, l’escursione termica è notevole. E poi panini, grigliate e birre, birre è ancora birre, che contribuivano a far salire i giri del sangue e, di riflesso, anche i battiti del cuore. Ora è tutto molto diverso: la prenotazione delle camere deve essere effettuata molti mesi prima, e poi, quando si arriva, non ha mai tutti i comfort che vorremmo: l’aria condizionata è troppo fredda o non funziona, la posizione non è ideale è il cuscino fa schifo.

 

E ci dimentichiamo di alzare la testa, abbiamo smesso di guardare le stelle, forse di sognare. Poi arriviamo quassù, sbuffando, le stradine ci sembrano interminabili ed impervie: che brutto posto per fare un Gran Premio di Formula Uno! Poi si arriva al parcheggio, sempre troppo lontano e scomodo, infine si entra. E si fa un giro per la Pista. I vecchi paletti di legno con le reti metalliche sono scomparsi, ora ci sono vie di fuga coloratissime, larghe che sembrano aeroporti. Poi si guarda meglio, girando a piedi all’esterno delle reti. E si scopre che Signes è ancora Signes, non è più una prova di coraggio, ma pur sempre una signora curva, con il medesimo raggio e le medesime, ammalianti fattezze e velocità di allora. Anzi, di più. Poi Le Beausset, un tornantone a destra a raggio variabile, una sfida nella sfida, una prova di sensibilità ed abilità dei piloti che esalta lo spirito, che ci eleva l’anima…

 

Infatti guardo la gente, la gente che c’è qui già oggi. Più pulita, più asciutta, più sobria degli squinternati che assiepavano i terrapieni allora, ma con lo stesso sguardo che brilla, con le stesse vibrazioni di vera emozione. Lì guardo e mi sembra di conoscerli tutti, abbiamo, proviamo le stesse, magiche sensazioni oggi, qui a Sainte Baume, come quelle che provavamo trentacinque anni fa. Poi li guardo meglio. E mi accorgo che tanti di quelli che sono qui, allora non erano ancora nati. Mi verrebbe di abbracciarli tutti. Tutti. E mi commuovo. Perché la Formula Uno, nonostante tutto, è ancora capace di portare questi ragazzi qui, con me, a vedere il più bello spettacolo del mondo. Non credete a chi vi dice il contrario: la Formula Uno è sempre una bella festa. Davvero! Basterebbe che la tv inquadrasse gli occhi di quei ragazzi che stanno a Sainte Baume, in questo momento: vi accorgereste che l’emozione che c’è qui, oggi, è di quella giusta, di quella sana, di quella vera. E senza nemmeno bisogno di tanta birra come quella che si beveva allora. Se li inquadrassero, quegli occhi, sono sicuro che verrebbe anche a voi, tutti, voglia di venire qui. Nel caso, la birra, ve la offro io! Vi aspetto!

 

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