F.1 Buon compleanno Rubens Barrichello, la sua storia la sua battaglia contro la malattia

 Rubens Barrichello ha compiuto 46 anni, è nato a San Paolo, Brasile, il 23 maggio 1972. Qui vogliamo raccontare la sua storia in F1, gli inizi ma sopratutto ricordare la sua battaglia contro la malattia che lo ha colpito poco tempo fa. Gli hanno asportato un tumore alla gola e dopo sofferenza e una battaglia come quelle epiche che faceva in pista oggi il pilota brasiliano sta bene. Ecco un profilo di chi è stato Rubens Barrichello in F.1 e perché è ancora amato da molti tifosi che hanno visto in lui una persona per bene cresciuto col mito di Ayrton Senna

 

I brasiliani la chiamano Saudade, una specie di nostalgia e malinconia messe insieme che a un certo punto ti fa venire un groppo in gola e ti rapisce lontano nello spazio e nel tempo. Per Rubens Barrichello la Saudade era qualcosa da combattere seduto al tavolo di un autogrill dell’autostrada fra Viareggio e La Spezia, o sulla Firenze Mare. Erano i tempi della Draco Racing, la scuderia di Adriano Morini con la quale nel 1989 il giovane Rubens correva nel campionato europeo di F.Opel Lotus. Per sfondare nel mondo dei motori bisognava lasciare il Brasile e, complici le origini venete e la conoscenza quasi perfetta dell’italiano, Barrichello non ha avuto altra scelta che muovere i primi passi dalle nostre parti. Ma la gioventù, la lontananza da casa, la solitudine e un carattere sensibile e a volte introverso non sono la miglior compagnia per chi deve stare tanti mesi lontani dagli affetti.

 

La passione per i motori, però, è stata forte e dopo quell’esperienza in Italia, ci fu la F.3 in Inghilterra e la F.3000. Insomma, anche se giovane, appena 21 anni, il giorno del debutto in F.1 nel GP del Sudafrica del 1993 al volante della Jordan Hart Barrichello aveva esperienza e anni di apprendistato alle spalle. Era un giovane vecchio, con lo sguardo di un ragazzo e l’espressione di un anziano navigato delle cose del mondo. Da quel momento in poi, la carriera di Rubens è stata tutta un saliscendi. Il momento più basso a Imola, nelle prove del GP del 1994, quello che costò la vita a Senna e Ratzenberger, con la brutta uscita di pista alla Variante Bassa. Da quel momento in poi per Barrichello è cambiata la percezione delle corse, l’approccio col rischio e con la competizione. Anche se poi, la prima pole, arriva proprio quell’anno, in Belgio, su una pista fra le più difficili del mondiale F.1.

 

Quando Barrichello lasciò la Jordan, a fine 96, ebbe la fortuna di passare alla Stewart. Jackie, il fondatore dell’omonimo team, contribuì a ricostruire la mente di Rubens. Nel periodo della Jordan il giovane brasiliano dovette superare i momenti più difficili della propria carriera. Approdato nel 93 in F.1 con una macchina non molto competitiva, nel 94 Barrichello ebbe la svolta. Dopo il terribile schianto alla variante bassa, finì in ospedale e si temette per la sua salute. Ayrton Senna, grande amico e idolo di Barrichello, andò a trovarlo in ospedale. Due giorni dopo, nello stesso ospedale, portarono il cadavere di Ayrton morto nell’incidente alla curva del Tamburello e il giorno prima, sabato pomeriggio, ci fu l’altro cadavere, quello di Roland Ratzenberger: nella mente di Rubens qualcosa cominciò a girare a mille. E non è difficile capirlo. Per Barrichello fu un colpo durissimo, amplificato dal fatto che i brasiliani volevano a tutti i costi un erede di Senna.

 

La pressione su Barrichello aumentò, Rubens magari sbagliò qualcosa nella gestione dei rapporti con la stampa, ma lo fece sempre seguendo l’istinto e l’onestà che ha sempre avuto. Alla Stewart Barrichello ritrovò se stesso, cominciò a fare ordine nella propria vita e a indirizzarsi in maniera concreta verso le vette del professionismo. Quando conobbe Silvana Giaffone e decise di sposarla, arrivò la svolta definitiva: il ragazzo era diventato uomo e la serenità interiore aveva preso il sopravvento. Il nuovo equilibrio giovò al brasiliano e quando a fine 99 arrivò l’annuncio della Ferrari, furono tutti contenti. A Maranello Barrichello dovette sostituire Eddie Irvine, un pilota che era stato suo compagno di squadra alla Jordan e che aveva un approccio col mondo completamente diverso da quello di Rubens. A Maranello Rubens scopre qualcosa di nuovo. Una squadra competitiva, un compagno difficile come Michael Schumacher.

 

Non è stato facile vivere all’ombra del tedesco. Il confronto era di quelli da far male. Eppure Rubens Barrichello è riuscito negli anni a reggere la pressione e a dimostrare di essere bravo. In quanto a velocità il brasiliano è una certezza. In certe condizioni, specie sul bagnato, dimostra di avere quell’istinto e quel senso del limite che nemmeno lo stesso Schumacher ha mai mostrato. Rubens Barrichello è un talento, su questo non ci sono dubbi. E allora, perché non ha ancora vinto un mondiale? Perché si è trovato al posto giusto ma nel momento sbagliato. Il posto giusto era la Ferrari. Il momento era sbagliato perché c’era Schumacher, un cannibale che lascia poco spazio agli altri, per cui al compagno di squadra rimane ben poco. Ironia del destino, nel 2009 altro posto giusto e compagno sbagliato, Jenson Button, che vince il mondiale con la Brawn. Dopo di che la chiusura con la F.1 e le telecronache su Rede Globo.

 

Con Schumacher ebbe pochi spazi, solo quelli per inserirsi al vertice quando le condizioni lo permettono o lo richiedono. La vittoria a Suzuka, ultima gara del 2003, è stata forse la più bella di Barrichello sulla Ferrari. Ha vinto dominando, mostrando la capacità di mettere a punto la macchina senza avere grossi patemi. Schumacher, invece, partito dalla 14.posizione, ha infarcito la corsa con errori e sviste degne di un pivello. Segno che anche il campionissimo sentiva la pressione davanti alla storia. Quella del sesto titolo iridato, per intenderci. Barrichello come pilota veloce. Quando Barrichello è sereno, è difficile stargli dietro. Anzi, a guardarlo guidare a volte pecca di leziosità tanto è perfetto nelle traiettorie e nel portare al limite la vettura. Si potrebbe scrivere un manuale di guida sportiva prendendolo ad esempio. Il problema è che la mente di Rubens non è sempre sgombra. Anche se lui lo negherà sempre, anche di fronte all’evidenza, il maggior limite di Barrichello è se stesso.

 

Si spiegano così certe prestazioni altalenanti, certe mancanze di mordente annegate in un carattere abbastanza permaloso. Non si può criticare Rubens senza correre il rischio che te lo rinfacci e se lo porti dietro come una sorta di rancore per diverso tempo. Alla Ferrari ricordano ancora i primi tempi, quando Rubens tornava ai box e diceva che la macchina non andava perché “ha il volante storto”. Dopo ripetuti controlli, si scopriva che era tutto in ordine. Anche alla Stewart i suoi ex meccanici ridevano di questa mania: “ho il volante storto” diceva Rubens per giustificare una prestazione scarsa. In Germania, anno di grazia 2000, Barrichello è attardato in prova, in gara piove, ma lui si scatena. Quando un disoccupato della Mercedes invade la pista per protesta e la safety car compatta il gruppo, Barrichello si scatena e alla fine vince il suo primo GP battendo le McLaren Mercedes sulla pista di casa. Sul podio piange, sventola la bandiera brasiliana, ringrazia Dio e fa commuovere tutto il paddock e chi lo vede in TV. E’ l’aspetto umano del campione che fa tenerezza rispetto al freddo Schumacher.

 

 

Nel frattempo cambia anche l’atteggiamento di Rubens con la stampa. Sempre sensibile a quello che viene scritto, si chiude a riccio. Ripensando agli inizi di Barrichello in F.1, il comportamento era totalmente diverso. Appena arrivato alla Jordan, Rubens aveva portato l’allegria e la voglia di vincere. Quando si arrivava a San Paolo, per la gara di casa, era una festa. A casa della nonna, vicino all’autodromo di Interlagos, per anni Barrichello ha ospitato giornalisti a mangiare pasta e fagioli nella tradizione casalinga della nonna. In queste occasioni è stato possibile conoscere il nonno, Rubens, il padre, Rubens e lo stesso Rubens, inteso come il pilota di F.1. Tre generazioni a confronto, mamma, sorella, papà e il clima di una famiglia sana, per bene, gente che non era ricca ma viveva dignitosamente facendo anche i debiti necessari per far correre Rubens nelle formule minori. Appena arrivato alla Ferrari Rubens scoprì l’emozione e il fascino di stare nella squadra più importante del mondo.

 

Commise un errore di comunicazione: “A Maranello avrò lo stesso trattamento del numero uno, sarò il numero uno bis”. I primi a cominciare a ridere furono i brasiliani, che quell’uno bis non lo perdonarono affatto e a ogni occasione tiravano fuori la storia della parità di trattamento. Il resto è storia recente, come recenti furono le polemiche sul famoso sorpasso sul traguardo di Schumacher a Barrichello nel GP d’Austria. Per non dire delle sportellate in Ungheria sempre con Schumacher ma con macchine diverse e rischio altissimo di andare a muro per Rubens! Ma tornando in Austria, quell’episodio fu controverso per diversi aspetti. Se Rubens aveva l’ordine di far passare Michael, perché non si comportò come aveva fatto altre volte Irvine, rallentando, inventandosi problemi ai freni, alla gamba o al motore? Barrichello si fece da parte platealmente a cento metri dall’arrivo, lasciando tutti di stucco. Anche se la squadra prese le difese del pilota, accollandosi tutta la responsabilità della decisione, all’interno del team non furono giorni tranquilli. Barrichello volle dimostrare qualcosa e colse l’occasione per farlo in maniera plateale.

 

Come a dire: sono veloce ma devo farmi da parte. Se non vinco non è per mia scelta. A Indianapolis avvenne il contrario: con Schumacher che rallenta in vista del traguardo e Rubens che passa a palla, vincendo senza saperlo e lasciando Michael di stucco. Incomprensioni, nervosismi e la certezza di essere al posto giusto ma di aver di fronte il più grande di tutti i tempi che ti toglie ogni spazio. E’ un match mentale duro, che Rubens a volte vince, altre subisce. Mentre Schumacher è adorato da tutta la squadra di meccanici, Barrichello non gode dello stesso favore. Secondo alcuni ragazzi del team, il carattere di Rubens è difficile da gestire. Quando pensi che possa difenderti, invece ti molla, si lamenta con i responsabili. La litigata in TV con un meccanico che non aveva regolato bene i freni, durante le prove del GP d’Italia a Monza, è ancora nella mente di tutti. Schumacher, a Silverstone, per lo stesso problema si ruppe una gamba non accusò nessuno: “Fra Schumacher e Barrichello il più fragile è il tedesco” ha detto Jean Todt.

 

 

La gente avrebbe pensato il contrario. Rubens ha l’aspetto del ragazzo tranquillo, ma dentro è più determinato di Schumacher, meno fragile sotto certi aspetti, anche se uno sembra antipatico e l’altro simpatico. L’unico “nemico” di Barrichello è stato se stesso. Con la Ferrari ha vinto 9 GP, ha segnato 11 pole position, è salito sul podio 46 volte, ha ottenuto 15 giri veloci in corsa: è un curriculum di tutto rispetto, di un pilota che ha dato il massimo e che con la Ferrari ha vinto i mondiali costruttori dal 2000 al 2004, dimostrando sensibilità nella messa a punto e velocità in pista. Ma per qualche strana ragione, si ha l’impressione che la sua storia con la rossa non abbia dato tutto quello che avrebbe potuto. Rubens è un uomo sensibile all’ambiente esterno. Non deve stupire se quando l’amico Gilles De Ferran è diventato responsabile della Honda, abbia preferito lasciare la Ferrari, con la quale aveva ancora un anno di contratto, per seguire un ambiente nuovo dove i rapporti umani lo mettevano al centro delle attenzioni. Rubens Barrichello, la storia di un giovane vecchio o di un vecchio con l’aspetto di un giovane.  Ovvero di un talento enorme al posto giusto ma col compagno sbagliato.

 

 

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