DOVE SPETTACOLO E RISCHIO SONO COSA SOLA

 

Sabato 15 dicembre, al Pala Alpitour di Torino, è andata in scena una grande kermesse di motociclismo dove l’accoppiata supercross / freestyle ha regalato agli appassionati torinesi (e non solo) una serata di grande spettacolo ad altissimo contenuto di adrenalina, con “numeri” che spesso hanno lasciato senza fiato il foltissimo pubblico presente sugli spalti dell’impianto torinese.

 

In particolare, l’evento del freestyle, non del tutto nuovo al pubblico piemontese, è stato di certo quello più elettrizzante, dove i protagonisti si sono esibiti in evoluzioni (i cui nomi poco dicono a chi non sia un cultore di questa disciplina) ad elevatissimo tasso di difficoltà e che non possono che essere frutto di lunghi ed accurati allenamenti e di una preparazione fisico / tecnica di prim’ordine.

 

Prima un “whip contest”, poi la gara di freestyle, dove su due trampolini, posti a 24 e 36 metri dal punto di atterraggio, si sono visti “numeri” che hanno sfidato ogni legge della fisica e dell’equilibrio, con l’evento finale del “front flip” (la rotazione di 350 gradi in senso antiorario), un trick difficilissimo che pochi professionisti sanno eseguire alla perfezione

Presenti alla partenza per sfidarsi in evoluzioni di difficoltà sempre crescente alcune vere e proprie “leggende” della specialità, nomi che per gli appassionati sono quasi delle icone e rappresentano quanto di meglio si possa vedere, quali Axell Hodges, Jarryd McNeal (il più spettacolare ed appludito), Mat Rebeaud, Edgar Torronteras, con i nostri portacolori Davide Rossi, Leo Fini, e Massimo Bianconcini a lanciare ai campioni il loro guanto di sfida, veri e propri funamboli delle due ruote ed acrobati motorizzati.

 

 

Una disamina più distaccata e meno emozionale porta a considerare come, negli ultimi anni, il livello di questa specialità sia incrementato esponenzialmente, sia nella preparazione fisica dei riders, ormai curata sin nei minimi dettagli, sia sotto l’aspetto più strettamente “tecnico”, laddove le evoluzioni, studiate a tavolino prima e preparate poi sul campo con duri allenamenti e prove, sono divenute tali da apparire ai limiti del possibile.

 

Per quanto visivamente rilevabile, difficile comprendere dove finisca il limite dello spettacolo ed inizi quello del rischio, concetti che si può dire siano divenuti una cosa sola; taluni “trick”, sino a qualche anno fa impensabili, e che di questo passo tra altrettanti saranno parimenti superati, presentano un coefficiente di difficoltà di incredibile levatura, che possono essere realizzati solo se tutte le condizioni, sia tecniche ed umane, siano al top.

 

Lato spettatore la sensazione è che talora tutte le variabili in gioco non siano sotto completo controllo, e che un sempre possibile imprevisto, sia lo stesso un errore del rider piuttosto che una defaillance del mezzo, potrebbero avere conseguenze significative, ma forse questo è proprio questo uno degli elementi che generano entusiasmo ed emozione nel pubblico.

 

D’altro canto non va dimenticato che questi atleti sono dei veri e propri professionisti, e che come tali non lasciano nulla al caso, consci che la disciplina che praticano non può essere improvvisata ma necessita di una preparazione assolutamente maniacale, tant’è che ben di rado si vedono errori nell’esecuzione dei “tricks”.

 

In qualunque modo la si voglia leggere, la specialità del freestyle rimane comunque una di quelle più emozionanti e spettacolari, contornata da quel clima coinvolgente tipico della cultura d’oltre oceano che l’ha generata, dove il termine “spettacolo” si trova sempre sul primo gradino del podio.

 

 

 

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