De Vita: «Sull’elettrico troppo ottimismo, sul diesel ancora pregiudizi e falsità»

Ospite di Oscar Giannino su Radio24, il nostro editorialista rivela come sulle auto diesel si sia scatenata una vera caccia alle streghe, riportando dati poco attendibili, o addirittura falsi, e creando un colpevole da sacrificare in nome della salute pubblica

 

Si parte da Sergio Marchionne e dall’eredità che lascia: «Dal 2022, FCA dirà addio alle auto diesel» è stato uno dei suoi ultimi annunci – osserva Giannino – che riapriva alle auto elettriche, smentendo clamorosamente le precedenti posizioni nettamente contrarie. Anzi, nella presentazione del piano industriale del quadriennio 2018-2022, il manager col maglione aveva dichiarato «Entro il 2025 la metà delle auto prodotte al mondo saranno elettriche o ibride», giustificando quindi la decisione di investire ben 9 miliardi di euro per la ricerca nel campo della mobilità elettrica sui 45 in totale disponibili del piano di investimenti pluriennali di FCA.

 

Allo stesso tempo, in Europa stiamo assistendo al crollo delle vendite di vetture diesel: nei primi sei mesi del 2018, nei primi cinque mercati continentali (Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna e Spagna) il calo complessivo è stato del 17,5%, con punte del 21,2% in UK. Ce n’è abbastanza per ipotizzare che siamo nella transizione dal diesel verso ibride ed elettriche; ma certo i tempi, i modi e gli scenari di questo cambio epocale sono ancora poco definiti.

Anche un’autorità in materia come l’ing. Stefano Passerini, direttore dell’Helmholtz Institute di Ulm in Germania, uno dei massimi esperti europei nello sviluppo di materiali per le batterie al litio, deve ammettere che alla prepotente crescita del settore non corrisponde la completa soluzione di alcuni problemi alla produzione delle batterie, primo tra tutti quello riguardante l’impiego di solventi fortemente tossici. La cui presenza negli ambienti delle fabbriche non può superare 10 parti per milione, ma vista la pericolosità l’Olanda ha già abbassato questo limite a 5 ppm, rendendo ancor più problematico immaginare in Europa fabbriche di batterie al litio, agevolando così la nostra dipendenza dai mercati orientali per quanto riguarda la produzione di batterie.

 

«L’altro problema – continua Passerini – è l’impiego del cobalto: non ce n’è molto nel mondo, e soprattutto sembra che la minima quantità presente negli elettrodi delle batterie non sia sufficiente a generare un’attività di riciclo del metallo. La Cina al momento è leader negli impianti di purificazione del cobalto. Poi c’è il problema dello smaltimento dei materiali esausti. Al momento il riciclo delle batterie agli ioni di litio è controverso e complicato: contengono dei componenti non sicuri e non si recupera il litio. Oggi si procede in questo modo: le batterie vengono bruciate totalmente, incenerite, e successivamente si estrae l’unico componente interessante, il cobalto».

«La grande sfida – ha detto Passerini durante la trasmissione di Radio 24 – su cui la Germania sta investendo molto e che l’Italia farebbe bene a considerare, riguarda il collegamento diretto tra la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e la mobilità elettrica, in modo da creare un moltiplicatore potente a matrice unita nel bilancio di sostenibilità».

 

E’ questo un primo punto di discussione a distanza con De Vita: «Chi lo impone che – argomenta il nostro ingegnere – la produzione da fonti rinnovabili debba per forze essere unita alla mobilità elettrica? Perché impiegare questa energia nelle auto e non nell’uso domestico? Dal punto di vista del riscaldamento globale, ovvero dal problema provocato dalla CO2, non cambia nulla. Si dirà che serve a ridurre l’inquinamento, dimenticando che i veicoli moderni sono già oggi poco inquinanti: già qualche anno fa Enrico Rubbia invitava a non investire ulteriori risorse in quest’ambito, visto che le priorità sono altre e che ormai le vetture diesel di ultima generazione, quelle dotate di Fap, sono davvero poco impattanti sull’ambiente».

 

Continua a leggere..

 

Condividi su: