Alonso e Toyota un successo in chiave antisfiga…

 

C’era quello che aveva le scarpe di due colori perché gli portavano bene, quell’altro che aveva il cornetto rosso in tasca per vincere i mondiali, quello che saliva sempre dallo stesso lato della monoposto e via di questo passo. Di rituali scaramantici il mondo delle corse è pieno. Vabbè che è tecnologia allo stato puro, ma quando pure uno, come Enzo Ferrari, sosteneva che era meglio avere in squadra un pilota fortunato che uno solo bravo, si capisce subito che i conti con la sfiga, nelle corse, bisogna farli sempre.

 

Li ha fatti la Toyota l’anno scorso, quando si è fermata all’ultimo giro di una gara già vinta a Le Mans e li ha fatti e continua a farli in F.1 Fernando Alonso. Sarà una legge fisica, ma quando due poli negativi si incontrano, scaturisce un più. Segno positivo. E il miracolo, si fa per dire, è presto fatto: Toyota ha vinto, finalmente, la 24 ore di Le Mans e Fernando Alonso ottiene il successo in una delle classiche più ambite del mondo racing. Gli manca la 500 Miglia di Indianapolis, ma l’anno scorso ci era andato vicino prima che l’ennesimo motore Honda esplodesse sul più bello. Il Giappone toglie, il Giappone dà, per un pilota come Alonso che è un seguace della filosofia dei samurai, con tanto di enorme tatuaggio sulla schiena, è stato come non arrendersi alle circostanze della vita, ma affrontarle traendone il meglio.

 

 

A fine stagione, in vena di confidenze, si fece scappare una frase che racchiude tutta la voglia di correre di Alonso: “Non potrò mai vincere più mondiali di Schumacher e non riuscirò a battere Vettel o Hamilton coi loro quattro titoli, l’unica sfida che mi resta è vincere la 500 Miglia di Indianapolis e la 24 Ore di Le Mans. Sono pochi quelli che ci sono riusciti, e questo obiettivo è alla mia portata”. Detto fatto. A giugno 2018 Fernando Alonso ha coronato il suo sogno, che era anche quello di Toyota, un colosso dell’auto che si è cimentato nelle competizioni, F.1 compresa, ottenendo molto meno di quello che avrebbe potuto e dovuto. In F.1 scelte manageriali sbagliate l’hanno portata a perdere la faccia e a non vincere nemmeno un GP nonostante avesse mezzi a profusione, staff di primo piano e piloti velocissimi, vedi Jarno Trulli. Il piccolo errore strategico ha portato a un enorme disastro, accadde in alcune corse del 2009, ultima stagione in F.1. E accade ancora spesso e volentieri coi prototipi.

 

 Macchina veloce, tecnologicamente interessante, ma vittorie a ripetizione per Porsche e Audi. Se anche quest’anno fosse andata male, sarebbe stato peggio, visto che in pratica non avevano rivali. Ma un conto è la teoria, l’altra la pratica, perché anche a correre da soli si può sempre perdere. E quindi onore al merito di chi ci ha provato, 588 giri e oltre 5300 km di corsa (come dire che non sono andati a spasso come qualcuno vuol far credere) merito del Kaizen, la filosofia orientale del miglioramento continuo. Ovvero l’antidoto alla sfida made in occidente, che col karma di Fernando Alonso, che dal 2013 non vince una gara di F.1, ha saputo compensarsi sui saliscendi di Le Mans. E’ finita la sfiga per entrambi? Si spera, ma a vedere la macchina che guida Alonso, il rischio è che sia meglio dedicarsi ad altro invece che sperare ancora in un mezzo miracolo targato F.1…

automoto.it

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