DI BIANCA CARRETTO PER IL CORRIERE DELLA SERA
Il campanello d’allarme è arrivato dal segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma che, a fine marzo, ha presentato uno studio sulla situazione industriale italiana del settore auto che è passata “ dal produrre circa 1.500.000 veicoli alla fine degli anni 90 a 473mila del 2022” ( oltre 250mila sono Ducato). L’Italia è ad un bivio, pur essendoci ancora una ragnatela di imprese che hanno la capacità di lavorare con competenza e qualità , malgrado “ il processo di desertificazione industriale in atto non c’è alcun aggancio con la realtà in termine di politiche pubbliche”.

Il peso dell’Italia all’interno della Commissione Europea diventa sempre più fragile, favorisce Francia e Germania che hanno lo spazio fiscale per gli aiuti di stato per i settori che sostengono la transizione ecologica ( batterie, idrogeno, carbonio, energie rinnovabili, e-fuel), creando una frattura proprio con l’Italia che, generando poca crescita, non si può permettere di “ spendere” per costruire il suo passaggio green, a parità di tutto il mondo. Il decadimento della nostra manifattura è iniziato nell’ottobre 2019 con la fusione tra Fca e Psa da cui è nata Stellantis che ha chiuso definitivamente la storia dell’automobile del nostro Paese, essendo una holding multinazionale olandese, produttrice di autoveicoli, con sede legale ad Amsterdam ma di fatto controllata da Parigi, dove opera il ceo Carlos Tavares, che delibera ogni decisione che riguarda l’ azienda, senza nessuna rilevanza per l’Italia, diventata ormai una provincia come la Germania per Opel, altro marchio incorporato in Stellantis.
IL PRECEDENTE MAGNETI MARELLI
Un primo smembramento è stato la cessione di Magneti Marelli passata nelle mani dei giapponesi della Calsonic Kansei, un gioiello della componentistica, determinante nella futura visione della mobilità indirizzata all’elettrico, a cui si aggiunge la digitalizzazione, la guida autonoma, l’intelligenza artificiale, un patrimonio tecnologico che non è più di nostra proprietà, da sempre strettamente collegato al Centro Ricerche Fiat ( un esempio per tutti fu lo sviluppo del common rail che modulava l’iniezione di gasolio nel motore, venduto nel 1994 alla Bosch), società di cui oggi non vi è certezza che avrà un ruolo nelle strategie future del gruppo. Negativa anche la cessione di un ramo di Teksid ( componentistica in ghisa) ai brasiliani di Tupy, sta a significare una progressiva dismissione persino di questo business.
LA MAPPA DEGLI STABILIMENTI IN ITALIA
Una situazione che si riflette sugli stabilimenti lungo tutto lo stivale: Mirafiori, a questo punto completamente spacchettata, dal 1 gennaio ad oggi, ha già effettuato 32 turni di cassa di integrazione, che hanno coinvolto circa 1800 operai. Cassino evidenzia il suo declino con una produzione ridotta a 5mila unità al mese, pur avendo in affidamento tre modelli – Alfa Romeo Stelvio e Giulia, Maserati Grecale – sono già stati effettuati 33 giorni di chiusura, con 3mila operai in carico ( minimo storico) a causa delle scarse vendite ( le immatricolazioni di Fca e di Psa prima della fusione erano superiori a quelle dell’attuale Stellantis) .

A Pomigliano si viaggia ad una media di 15mila veicoli mensili – Alfa Romeo Tonale, Dodge Hornet, Fiat Panda – con cassa di integrazione di 20 giorni dall’inizio dell’anno. Melfi cammina sul viale del tramonto,le linee sono ferme per oltre 6mila dipendenti, sino all’agosto 2023, che sopravvivono con il salvagente della solita cassa di integrazione, si percepisce una lenta decadenza. La produzione della Fiat 500X è destinata a finire e non si conoscono ancora quali modelli potrebbero sostituirla. Un panorama che vede passivo il Governo, considerando che coinvolge tutto l’indotto, potrebbe significare la perdita di oltre 9mila posti di lavoro.