Formula 1. Nico Rosberg, il campione del mondo della porta accanto

Domenica 27 novembre il Gran Premio di Abu Dhabi ha incoronato il nuovo re della Formula 1: un ragazzo generoso e onesto apprezzato da tutto il Circus.

Potrebbe indossare il doppio petto e presentarsi in borsa a vendere o comprare azioni. Oppure tirarsi i capelli col gel e sfilare in passerella per una casa di moda. O, ancora, fare la controfigura a Leonardo Di Caprio, che gli somiglia come una goccia d’acqua. Invece Nico Rosberg tornerà presto a casa con la moglie e la bambina perché, in fondo, correre e diventare campione del mondo di F.1 era un sogno, ma la vita vera è altra cosa. E lui lo sa. Ad Abu Dhabi ha coronato un sogno cominciato da bambino quando seguiva il padre Keke sulle piste del mondiale. Padre campione del mondo di F.1, vinto nel 1982 con una sola vittoria. Quando Nico gli disse che voleva fare il pilota professionista, Keke gli disse ok, ma parlami dopo che hai vinto almeno un mondiale. Adesso ci sono 20 gare vinte da Nico e un titolo iridato, i conti sono a favore del figlio e il padre, da perfetto sportivo, non si è fatto nemmeno vedere in pista perché sa che la pressione, a certi livelli, è tale per cui meglio stare alla larga. 

La storia di Nico Rosberg parte da qua, da un padre pilota che quando ha vinto il mondiale Nico non era ancora nato, da una famiglia diventata ricca dopo i guadagni di F.1 una vita a Montecarlo e una nazionalità incerta. Infatti Nico è nato in Germania da padre finlandese ma vivendo nel principato oltre alle due lingue natie ha imparato anche il francese, poi l’italiano coi compagni di scuola che erano della nostra nazionalità, poi lo spagnolo e il portoghese visto che c’era. E così, con le domeniche e i pomeriggi ad Arma di Taggia, vicino a Sanremo a correre coi kart, le scuole a Montecarlo e le piste nei sogni, Nico è cresciuto con un solo obiettivo: correre, vincere, diventare campione. 

Ora ci è riuscito, ha sofferto, è cresciuto e ha imparato dai propri errori e dalle sconfitte. Ma non si è mai montato la testa. «Ho conosciuto Nico e Lewis da bambini quando venivano alla McLaren – dice Jo Ramirez, team manager della scuderia inglese – a distanza di tanti anni Nico non è cambiato, sempre altruista generoso e onesto, qualità apprese dal padre, Lewis è un’altra persona, è cambiato in tutto, non è più il ragazzo affamato di successo di una volta. Se posso dirlo, sono felice per Nico».

«Ragazzi che stress – ha detto Rosberg dopo il mondiale – non finiva più la gara, dovevo stare attento a tutto, Verstappen che andava forte e la squadra che mi dice di superarlo altrimenti il mondiale era a rischio, il sorpasso, il pericolo di una toccata, Hamilton che frenava in curva e accelerava sul dritto impedendomi di avvicinarmi per tentare un sorpasso, davvero uno stress in cui mi dicevo qua scoppio, non reggo, basta non ce la faccio più. Invece è andata bene, sono campione del mondo, campione del mondo…» e via a cantare il popopoppoo con i suoi compagni di scuola, ragazzi italiani che gli hanno insegnato l’italiano lingua nella quale ha voluto festeggiare il titolo appena vinto. Negli annali resterà il nome di un pilota di origine finlandese nato in Germania, ma a vederlo così Nico Rosberg è uno dei nostri, un ragazzo normale che ha fatto dell’eccezionalità della sua carriera qualcosa di unico.

 

 

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