F.1 GP MESSICO Jo Ramirez, io la Ferrari Dennis e i retroscena di una vita da corsa

DI PAOLO CICCARONE PER AUTOMOTO.IT

 

In Messico gli occhi sono tutti per Sergio Perez, l’eroe moderno di una nazione che cerca un simbolo per un riscatto che non arriva mai. Non deve stupire se in occasione dei 60 anni del GP del Messico, le celebrazioni del passato hanno riguardato i simboli di ieri: i fratelli Ricardo e Pedro Rodriguez, deceduti in corsa e ironia della sorte, entrambi al volante di una Ferrari. F.1 per Ricardo, una 512 interserie per Pedro, lui alfiere Porsche con le imbattibili 917.

C’è però un altro simbolo vivente del Messico da corsa, quel Jo Ramirez ex DS della McLaren dei tempi d’oro di Prost e Senna, di Hakkinen mondiale. Una storia che parte da lontano e che in Messico hanno celebrato inserendo Jo nel muro dei campioni. Oggi, nel paddock, Ramirez sfoggia orgoglioso i due pass al braccio: erano i lascia passare dei meccanici del GP di quell’epoca, con al collo il pass F.1 dell’ultimo anno nel circus prima della pensione. Una storia legata alla McLaren ma che inizia in Italia tanti anni fa…

“Ero giovane e appassionato, con Ricardo Rodriguez c’era amicizia e stima e quando arrivò alla Ferrari per correre delle gare, mi volle al suo fianco. A quel tempo i meccanici della Ferrari erano tutti italiani e io ero visto come lo straniero. Poi purtroppo Ricardo morì proprio qui in Messico durante le qualifiche, era con una Lotus di Rob Walker, e la storia finì, ma non la mia passione per la F.1 e le corse”

Con Senna a Montecarlo salì sul podio ripreso da Franco Scandinaro della FOM

– Perché non sei rimasto alla Ferrari?

“Erano tempi difficili, a quel tempo c’erano scioperi, problemi vari. Non era la Ferrari di oggi, uno straniero non era ben visto e onestamente il Commendatore non aveva molto da offrirmi per restare. Ma con la dirigenza di quel periodo, penso a Romolo Tavoni, ho sempre mantenuto ottimi rapporti. Così sfruttati una raccomandazione di Juan Manuel Fangio che scrisse al cavalier Alfieri Maserati e mi presero lì a lavorare da loro. Restai a Modena per un po’ di tempo, migliorai un po’ il mio italiano, ma anche qui c’era poco da fare, prospettive difficili”.

Un giovane Jo Ramirez con Manuel Fangio che lo ha raccomandato in Maserati

– E così la decisione, caricare armi e bagagli e andare in Inghilterra dove non facevano tanti problemi con la nazionalità di un dipendente

“Diciamo che mi offrirono del lavoro nel mondo racing e io accettai. Mi ricordo che caricai la mia Fiat 500 di tutto quello che potevo, misi le valigie sul tetto, e andai in Inghilterra dopo un viaggio lungo e stressante. Non c’erano molte autostrade a quel tempo e l’aereo costava troppo caro per le mie tasche”.

– Poi l’incontro con Ron Dennis, i successi alla McLaren, il rapporto con Senna, Prost, Rosberg, Lauda, ovvero il meglio dei piloti di quell’epoca…

“Direi anche Hakkinen e Coulthard, soprattutto Mika che vinse due mondiali contro Schumacher. Dennis era un tipo molto attento, meticoloso, ho sempre avuto una grossa fiducia in lui e in tutto quello che faceva. Poi è successo qualcosa ed è sparito dal mondo delle corse. Fu un periodo difficile: la spy story, il divorzio dalla moglie, i 100 milioni di multa, che poi non so nemmeno se sono mai stati pagati, il rapporto conflittuale con Max Mosley, e non ho mai capito perché i due si odiassero. Infine l’uscita dalla McLaren. Quello per lui è stato un colpo fatale. Aveva costruito il MP4, il Marlboro Project Four, lo aveva seguito passo dopo passo, lo aveva fatto crescere a sua immagine e somiglianza. Poi un grave errore di valutazione e si è trovato fuori dalla sera alla mattina dalla squadra, dalla sua creatura, dalla sua passione. So che rifiuta interviste o interventi a serate e celebrazioni, è rimasto fuori da tutto, mi spiace, ma io credevo in lui…”.

Ramirez da DS McLaren con Ecclestone e, al centro, Illien padre dei motori Mercedes iridati

– Tornando alla spy story, quindi, secondo te più che un fatto reale, una specie di vendetta di Mosley contro Dennis?

“Non saprei sinceramente. I due erano in conflitto e non perdevano occasione di pestarsi i piedi su ogni cosa. Il problema ci fu, ma non come è stato raccontato e scritto”

Jo mostra orgoglioso i braccialetti pass da meccanico dei primi GP Messico

– In attesa allora che si svelino altri lati nascosti di quella vicenda, c’è stato poi il problema del conflitto FIA FOM, con la separazione dei campionati, un po’ quello che succede adesso…

“Mi ricordo che Briatore insisteva sempre, diceva che aveva i circuiti, l’organizzazione e che non serviva seguire le follie di Mosley, che voleva 25 gare, una specie di budget cap dell’epoca, aprì le porte a tre squadre minori che dovevano essere d’esempio. Montezemolo aveva mandato un suo referente a seguire la faccenda, ma come si è visto non se ne è fatto niente”

– Adesso il Messico tifa per Perez, l’eroe nazionale. Sei stato tu a portarlo in F.1…

“Sì avevo catalizzato l’interesse di alcuni sponsor istituzionali e ci fu un programma per portare dei piloti messicani in F.1, uno era Sergio. Adesso è un eroe locale, il pilota messicano più vincente di tutti i tempi. Io però solo legato ai fratelli Rodriguez e a quell’epoca in cui un errore lo pagavi con la vita. Ricordo l’incidente di Ricardo qui in Messico, voleva trovare qualcosa in più dalla macchina. Ecco, un pilota messicano che corre qui tira sempre fuori il massimo, quei due decimi che adesso mancano a Perez e che qui è capace di tirare fuori”.

Jo Ramirez ha disputato anche qualche Mille Miglia in Italia

– Ricordi dell’Italia? Vieni ancora?

“Sì, a qualche rievocazione storica. L’ultima volta ero con Merzario e si avvicina un tifoso che gli dice: come sei invecchiato, tutto pieno di rughe. Arturo mi guarda e risponde al tifoso: sì è vero, sono pieno di rughe, però sono ancora qui mentre i tuoi eroi sono tutti morti. Ecco, mi fece ridere come un matto. Poi seguo con attenzione la Ferrari, vedo che Maserati torna alle corse con le GT e FE, sono contento perché alla Maserati ho passato davvero dei bei momenti”.

– Che rapporti hai con Stefano Domenicali?

“Fantastici, mi abbraccia sempre. Io e lui eravamo omologhi alla McLaren e alla Ferrari. A fine anno ci scambiavamo sempre le magliette e le divise, perché è un grande uomo di sport appassionato di F.1. Un vero gentleman. Ho seguito la sua carriera in Lamborghini, ma credo che il suo cuore era in F.1 e oggi è un uomo felice. Sono davvero contento per lui”.

In Messico testimonial di successo nel GP dell’anno scorso

– Visto che eravate direttori sportivi di due team avversari, lui oggi è a capo di Liberty Media, tu fai il pensionato e devi cercare un pass tutte le volte…

“Devo avere sbagliato qualcosa! Lui è bravissimo e adesso quando chiedo un pass, mi fanno entrare senza grossi problemi. A suo tempo dovevo sempre elemosinare a Pasquale che lo faceva cadere dall’alto. Una domanda: ma se chiedo un pass onorario, Stefano Domenicali potrebbe darmelo?”

Senza dubbio, siamo certi che la consegna avverrebbe con tanto di abbraccio finale…

 

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