F.1 GP Belgio, quando ci si dimentica che i piloti sono soltanto dei ragazzi e li vogliamo adulti

di Paolo Ciccarone per automoto.it
Charles Leclerc vince il suo primo GP di F.1 e lo fa con la Ferrari. Età 21 anni e circa 10 mesi (è nato il 16 ottobre 1997). Anthoine Hubert muore il giorno prima mentre sta correndo in F.2. Stessa pista di Leclerc. Età 22 anni e 11 mesi (era nato il 22 settembre 1996). Antonio Giovinazzi, pilota Alfa Romeo, nato a Martina Franca il 14 dicembre 1993, a 25 anni e 8 mesi è il più vecchio della compagnia. Quando si parla di sport, di corse e di gente che prende dei rischi, ci si dimentica che siamo di fronte a dei ragazzi che fuori da un abitacolo di una macchina da corsa, restano tali. Con tutti i problemi di un ragazzo di quell’età. Ma lo dimentichiamo, perché magari un sorpasso non riesce, un risultato di prestigio (vedi Giovinazzi in gara) viene sprecato con una uscita di strada. E allora ci si scatena in critiche, commenti, analisi. Dimenticandosi un particolare importante: ovvero, io a quell’età cosa facevo? Ero in giro per il mondo a giocarmi la vita guidando una macchina a 300 all’ora oppure mi arrabattavo coi libri di scuola, con la paghetta di papà? E a 22 anni, o giù di lì, che problemi avevo? Ebbene, ci si dimentica di questo particolare. Che vale per tutti gli sportivi. Dal calcio al tennis, dai baby fenomeni della domenica sportiva. Ci si dimentica che sono solo dei ragazzi che affrontano spesso qualcosa più grande di loro, con una pressione interna ed esterna che noi, esseri normali, non abbiamo mai affrontato. Non abbiamo mai avuto qualche centinaio di milioni di spettatori alle nostre imprese, non abbiamo mai avuto qualcuno che ci ha criticato perché magari, al campetto di calcio, non sapevamo giocare bene o in discoteca più che agitarci alla John Travolta dei nostri tempi, eravamo più simili a un orango in libera uscita.

Ebbene, questi ragazzi fanno qualcosa di eccezionale, di unico, capaci di regalarci emozioni con la loro abilità.

Con un volante in mano, con due ruote come moto o bici, o con un pallone in mezzo ai piedi. Tutta l’indulgenza che abbiamo preteso per noi e i nostri 20 anni, svanisce di fronte a un passaggio sbagliato, un errore in curva, a una uscita di pista. Poi succede l’incidente, il ragazzo di 22 anni dal sorriso triste non c’è più. Muore in mondovisione, e allora ci ricordiamo che in fondo si tratta di ragazzi che sanno fare qualcosa di unico, rischioso e spettacolare. E lo fanno per passione, sacrificando se stessi. Se poi quel sogno in un cassetto, arrivare in F.1, vincere una gara, poi magari il titolo mondiale, si realizza, capita a uno su mille, forse di più. E ci dimentichiamo che, in fondo, sono solo ragazzi. Che meritano rispetto e affetto. Anche quando sbagliano.
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