F.1 GP Belgio, dalla festa Ferrari al dramma Hubert, la dura legge del motorsport

Di Giuseppe Magni
Doveva essere una giornata di festa, oggi, qui a Spa-Francorchamps. Avevamo appena partecipato alla conferenza stampa ufficiale dei piloti F.1, con i due piloti della Ferrari al centro della scena, avendo conquistato alla grande le prime due posizioni in griglia. Volevo fare una domanda anche io, a Charles Leclerc, fin troppo serio e compassato dopo essere stato protagonista di una impresa eccezionale: avere portato il Cavallino Rampante davanti a tutti e con largo margine. Volevo chiedergli come si sentiva, ad avere quello scudetto giallo così grande vicino al cuore, a stare davanti a tutti nella università dell’automobilismo da corsa, alla vigilia di una corsa importantissima e una settimana prima della grande festa rossa di Monza. Ma non ce l’ho fatta, troppa era l’emozione e la commozione di essere lì, così vicino ai miei eroi, che non sono riuscito nemmeno ad alzare la mano.

Doveva essere una giornata di festa, oggi, qui a Spa-Francorchamps. Doveva. Perché, poco dopo è partita la gara di F.2.

E lì l’Automobilismo da corsa, che tanto amiamo, ha preteso il suo tributo. Ci ha ricordato perché i piloti devono essere considerati, ancora oggi degli eroi. Perché, benché la sicurezza abbia fatto passi da gigante, l’Automobilismo da corsa rimane una disciplina pericolosa, dove l’ansia di superamento, come la chiamava Enzo Ferrari, porta tutte le volte al confronto estremo, duro, serrato, senza esclusione di colpi. Il sacro fuoco della competizione porta ad emergere i talenti veri, quelli che ci sanno fare, quelli che con la velocità e la prontezza di riflessi sembrano giocare. Sembrano. Perché, in fondo, al di là delle illusioni di invulnerabilità, l’Automobilismo da corsa rimane quello dei tempi antichi, degli anni ruggenti, dove gli eroi, quegli eroi, mettevano in conto tutte le volte che scendevano in pista che quello che è successo oggi poteva accadere. Ma si cimentavano lo stesso, preda di una febbre antica, di quella sfida alla sorte, di quell’ansia di superamento, appunto, che li dominava, che li possedeva.
E che, tante volte, troppe volte li portava oltre il limite, fino al sacrificio estremo. Ma erano talmente innamorati del loro sport, che lo vivevano comunque come una gioia estrema, perché dava loro un’adrenalina, un appagamento cui mai avrebbero potuto rinunciare. E allora via! Tutti in pista, lanciati a tutta velocità, derapare, cercare di controllare l’incontrollabile, delle forze sempre troppo più grandi delle loro pur robuste braccia, dei loro pur grandissimi cuori. E noi lì, da sempre, ad applaudire il coraggio, l’incoscienza, quel loro innamoramento che abbiamo sempre voluto fare anche nostro. Quella poesia nei gesti e nelle imprese che esiste ancora oggi, intatta e struggente. Solo che ci stavamo dimenticando di quanto possa essere pericolosa.
Spa-Francorchamps, l’Università del nostro Sport ce lo ha ricordato. Improvvisamente. Brutalmente. Quasi vigliaccamente. Come quella grandine o quei rovesci che ti possono colpire solo qui, in questo posto dove l’Automobilismo è nato e cresciuto. Dove lo stesso Automobilismo un minuto prima ti regala gioie incontrollabili, con un ragazzo sulla Ferrari, primo davanti a tutti, e un minuto dopo ti getta nello sconforto e nello sgomento più profondo, ghermendo un ragazzo di quasi ventitré anni, anche lui innamorato, anche lui pieno di gioia per essere protagonista di uno sport stupendo ma crudele, che ce l’ha tolto proprio nel momento in cui stava facendo quello che più amava. Correre. Correre a Spa-Francorchamps. Dove oggi, doveva essere un giorno di festa. Doveva. Speriamo almeno che, oltre il dolore, questo diventi un giorno di rispetto. Di rispetto profondo e convinto, di ammirazione vera e sincera che Anthoine Hubert sta chiedendo a tutti noi, per tutti i prossimi tempi, per tutti i piloti come lui, che scendono in pista per loro e per noi, al di là dei colori, al di là delle simpatie, al di là delle bandiere. Riposa in pace, Anthoine Hubert.
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