EDITORIALE In Arabia 81 decapitati in un giorno ma il problema era un missile, le contraddizioni del circus

DI PAOLO CICCARONE PER CRISALIDEPRESS.IT

La domanda qualcuno se l’era posta già un po’ di tempo fa, ovvero perché si deve correre in Arabia Saudita, visto il tipo di governo locale, le repressioni e la mancanza di rispetto per i diritti umani? Poi una volta giunti a Jeddah e visto il circuito, ai perché si era aggiunto anche l’interrogativo sul tracciato. Partiti da un foglio bianco, Herman Tilke si è superato: ha voluto creare, su gentile richiesta locale, il tracciato cittadino più veloce al mondo. Ovvero, un misto fra Monza e vie di fuga stile Montecarlo.

MARE, BARCHE E TANTI SOLDI, JEDDAH FA IL VERSO A MONTECARLO

Ovviamente col contorno del mare, delle barche e di tutte quelle cosucce che rendono lieta la vita di chi non sa come spendere qualche centinaio di milioni all’anno. Perché fare la fame è brutto, ma averne anche tanti da non sapere come spenderli non è che renda felici, diciamolo dai…E così in quella landa desolata dove l’unica cosa che abbonda è lo spazio, ecco un tracciato dove di spazio non ce ne è. Basta un niente e ti ritrovi contro un muro.

MEGLIO UN BOTTO AD ALTA VELOCITA

Possibilmente ad alta velocità, così l’eccitazione dei locali va alle stelle, si crea interesse e si vendono a caro prezzo i biglietti. In fondo, averne tanti da non sapere come spenderli è un dramma, diciamolo dai… E così si è finiti a Jeddah. I motivi, ovviamente, soprattutto economici. Liberty Media, società che gestisce il campionato, intasca una provvigione di 55 milioni per ogni GP (Monza e Imola insieme non arrivano a questa cifra).

SOLTANTO UNA QUESTIONE DI SOLDI

C’è poi Aramco, la società petrolifera governativa, che è sponsor del campionato e qui altri 400-500 milioni che entrano nelle casse di Liberty. Metti poi che la pista, costo fra i 150 e i 250 milioni, abbia anche salette VIP da almeno 10 mila dollari a testa, anche questi finiscono nelle casse made in USA. E i team? Niente, perché la fetta del 67 per cento degli incassi, destinata ad aumentare in futuro, finisce nelle casse delle squadre e quindi, va bene che si negano i diritti umani, va bene che solo alla vigilia del GP sono state decapitate 81 persone in un colpo solo (secondo la fonte ufficiale del governo si trattava di terroristi e autori di reati gravi) fatto sta che il record, diciamo così, di 69 decapitati in un anno è stato battuto in un giorno solo: il 14 marzo.

IL RECORD DI 69 DECAPITATI IN UN ANNO BATTUTO IN UN GIORNO

Segnarsi la data perché magari il record lo migliorano. E arriviamo al 2022. Le donne in Arabia possono guidare solo da tre anni grazie alle aperture del nuovo corso politico, che vede un miglioramento delle condizioni femminili anche se resta ancora molto da fare per arrivare a livelli accettabili.

DONNE AL VOLANTE COME FOGLIA DI FICO

E quale miglior biglietto da visita di una donna che guida una macchina da corsa? La foglia di fico da mostrare al mondo aveva il nome di Reema Jali, impegnata nel campionato F.3 inglese, che a dicembre si è esibita al volante di una Williams Fw 07, la prima monoposto campione del mondo che corse coi colori verde della Saudi Airlines e fra gli sponsor aveva anche la ditta di costruzione Bin Laden. Esatto, proprio quel Bin Laden famoso nelle torri gemelle del 2001, ma negli anni 80 era un giovane ricco di famiglia che studiava a Londra e il gruppo aveva trovato il modo di spendere soldi nelle corse, vincendo tra l’altro.

DONNE AL VOLANTE, ARABIA TOLLERANTE

Quest’anno la foglia di fico è raddoppiata, grazie anche ad Alpine che ha voluto mandare un messaggio forte di uguaglianza e così a Riyad si sono esibite al volante di una F.1 Renault di una decina di anni fa due ragazze: Aseel Al Hamad, rappresentante FIA nella commissione femminile, e Abbi Pulling, che corre nella Women series ed è pilota dell’academy Alpine. Come dire, avete visto che non siamo così arretrati dato che oltre a far prendere la patente alle donne, le facciamo anche correre in macchina? Un bel messaggio senza dubbio.

CADE UN MISSILE, QUALCUNO SCOPRE LA GUERRA

Poi il venerdì delle prove su un deposito vicino al circuito arriva un missile dei ribelli Houthi dello Yemen e la paura prende corpo nel circus. Piloti che non vogliono correre, team manager che compatti chiedono garanzie, governo locale che rassicura tutti: “Tranquilli, erano sette missili ma sei li abbiamo beccati” e quindi un altro perché si è finiti in un posto simile. La gara ha perso molta parte delle sue motivazioni, piloti come Hamilton sembravano colpiti più di altri, ma poi, la domenica, con le tribune finalmente piene (almeno quelle inquadrate in TV) una volta abbassata la visiera, accesi i motori, si è tornati come prima.

DOMENICA COME SE NIENTE FOSSE

Ovvero, chisene dei diritti umani, delle bombe, dei missili e delle decapitazioni, siamo la F.1, una volta fatto il discorso di uguaglianza e mostrato al mondo il nostro slogan, il resto avanza. Passare alla cassa, intascare e tanti saluti a tutti. Ma di questo non si può incolpare Stefano Domenicali, il presidente e CEO di Liberty. Lui dirige una azienda, deve trovare soldi per gli investitori e distribuirli ai team e di conseguenza ai piloti.

DOMENICALI FA BENE IL SUO LAVORO

Firmare contratti decennali in Arabia vuol dire garantire 550 milioni di incasso minimo oltre al resto. Vuol dire garantire la sopravvivenza della società e dare utili agli investitori. Questo è il suo lavoro e lo ha fatto bene. Poi da uomo di sport si guarda allo specchio, sa di aver fatto il massimo possibile e va a letto sereno. Il resto non dipende da lui. Anche perché lunedì dopo gara si parlerà del sorpasso di Verstappen a Leclerc, del duello fra i due, della grande festa in pista e dello spettacolo offerto in mondovisione. Senza missili, senza problemi e tutti interi che tornano a casa con la valigetta piena dei premi di gara. Tanto settimana prossima c’è già un’altra tappa del mondiale, cosa vuoi che sia?

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