W SERIES, COSA SERVE PER “CRESCERE”

(testo e foto Marco Ferrero)
La britannica Jamie Chadwick si è aggiudicata la prima edizione (ed il suo ricco montepremi) della W Series, il campionato svoltosi su monoposto Formula 3 guidate esclusivamente da rappresentanti del sesso femminile, davanti alla tedesca Beitske Visser ed all’altra britannica Alice Powell; una vittoria, diciamolo chiaramente, per certi versi annunciata in quanto sin dalla prima gara la Chadwick aveva imposto il suo ritmo, pur se l’andamento del campionato è risultato altamente equilibrato.
Una serie che, come prevedibile, è stata oggetto dei più disparati commenti e discussioni; senza entrare nel merito delle tematiche, va solo sottolineato come saranno necessari equilibrio ed intelligenza per continuare a proporre correttamente questa serie, cercando di far crescere la stessa un concetto apprezzabile ma che necessità, per un salto di qualità, di alcuni correttivi.
Si è presentata questa serie come la possibilità di portare una pilota di sesso femminile in FORMULA 1; sarebbe meglio tenere i piedi ben saldi a terra, la massima serie a ruote scoperte è, al momento, terra di conquista di chi porta valigie colme di denaro e predilige i piloti uomini (dobbiamo risalire al 1976 per ritrovare la compianta Lella Lombardi).
Opportuno e doveroso, dopo aver tessuto le lodi della vincitrice, redigere un bilancio di questa stagione, di certo positiva, ma con qualche punto che, ovviamente e come di prassi per ogni evento al suo debutto, può essere oggetto di miglioramento; la disamina della stagione porta ad un’elencazione dei punti di forza e quelli su cui lavorare come segue.
Partendo dai fattori positivi, il primo è di certo l’INTERESSE, registrato sia parte del pubblico, da un lato incuriosito dal vedere una parte di paddock riservata a pilotesse ed alle loro vetture, dall’altro partecipe ed entusiasta nell’ammirare le stesse in azione, sia da parte dei media, numerosi e pronti ad immortalare le protagoniste nei loro aggraziati momenti pre gara.
Non meno positivo il giudizio sulla PARTECIPAZIONE; per arrivare a venti partecipanti si è dovuto procedere ad una “scrematura” consistente, che magari ha penalizzato qualche ragazza di buone prospettive, ed il lotto iniziale di iscritte ha certificato l’interesse che la serie poteva avere. Non è evidente se intenzionalmente o meno, ma la RAPPRESENTATIVITA’ è stata pressoché totale, con pilotesse provenienti di fatto da tutto o quasi il pianeta, una “par condicio” significativa sul fatto che nessuna preclusioni fosse stata definita a priori.
Di certo il fattore SELETTIVITA’ è stato enfatizzato correttamente, a partire dal fatto che le venti pilotesse ingaggiate non abbiano sostenuto costi per gareggiare, ma abbiano fatto unicamente affidamento sul loro talento. Quanto meno, ed almeno in questa fase, non sono state le munifiche disponibilità finanziarie di qualcuno a determinare o precludere la possibilità di mettersi in mostra.
Volendo cercare di comprendere cosa serva a questa serie per “crescere”, il primo punto riporta alla PARTECIPAZIONE; diciotto pilotesse in gara sono sembrate un po’ pochine, se si vuole dare un’opportunità reale giusto “allargare” il campo, magari avendo in pista 24 concorrenti, con una gara un poco più lunga e, se possibile e compatibilmente con i costi, disponendo di qualche cavallo in più per aumentare la competitività (270 cavalli sono nulla rispetto alla Formula 1 obbiettivo finale teorico).
Il FORMAT DELLE GARE potrebbe essere evoluto e migliorato, magari allargando la partecipazione ad ogni weekend a più ragazze, istituendo due “semifinali” che potrebbero premiare i primi (ad esempio) 24 tempi e ponendo due manche per evento, nella seconda delle quali invertire l’ordine di partenza delle prime otto, come peraltro accade già in altri campionati. In tal modo si andrebbe a garantire un maggior equilibrio e si esalterebbero le qualità delle singole drivers.
Altro punto sul quale si dovrà riflettere è il FORMAT DEL CAMPIONATO: la si legga come si vuole, ma sei gare sono davvero troppo poche per attribuire un titolo che abbia una significatività; il punto potrebbe essere superato con l’introduzione di due manches per weekend, oltre che con l’allargamento del numero di prove, portando il numero di gare valide a punteggio almeno a sedici e, perché no, attribuendo punti supplementari per la pole position in prova ed il giro più veloce in gara.
Se si vorrà “crescere” non si potrà prescindere poi da una COPERTURA MEDIA adeguata o quanto meno sufficiente, che dia il giusto risalto a questo evento, evitando che la WSeries sia solo un elemento di contorno ad altri eventi e dando alla stessa una sua propria dignità, in quanto non è pensabile lasciare che sia solo la buona volontà di qualche testata motoristica a dare risalto e spazio alla serie. Ciò potrebbe generare un “effetto domino” positivo per il quale si potrebbe acquisire l’interesse di qualche MAIN SPONSOR, nonché fornire al campionato una sempre crescente importanza, fattore quanto mai importante per un evento in fase di “start up”.
Ultimo, ma non meno importante, da comprendere se si sia stato solo un esperimento o se ci si voglia credere per davvero; nel primo caso, complimenti per come è stato realizzato, se si vorrà dare alla serie una sua realtà sarà necessario un salto di qualità, un cambio di passo come quello, forse anche più azzardato, della Formula E, che dia alla W Series una sua propria dimensione nel panorama automobilistico sportivo.
#Wserier
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