Quando Alfa Romeo dominava la F.3 mondiale ecco la prova con la Dallara 389 a Imola

 

C’è da dire grazie a Giancarlo Minardi e alla sua idea di organizzare una giornata in pista a Imola. Perché al Minardi Day oltre alla F.1 hanno girato vetture di tutti i tipi, legati al passato recente e di una volta. La Scuderia del Portello, il sodalizio che ormai è diventato ambasciatore Alfa Romeo nel mondo delle corse storiche, ha portato una serie di modelli che hanno scritto pagine importanti nell’automobilismo. Fra queste anche la Dallara 389 Alfa Romeo che dalla fine degli anni 80 e buona parte dei 90 ha letteralmente dominato le scene mondiali della categoria.

 

Insomma, Alfa Romeo da un lato, Dallara dall’altra in quelli che sono stati i primi passi di una storia recente che ancora oggi è di successo. Alfa Romeo aveva deciso di entrare in F.3 ufficialmente nel 1979 affidando una March  a Piercarlo Ghinzani. Il “Ghinza” era stato campione europeo della categoria nel 1977 e dopo una parentesi infelice in F.2 nel 78 decise di fare un passo indietro per sviluppare il 4 cilindri Alfa Romeo.

 

 

Le sue doti di collaudatore erano indiscusse e così cominciò l’avventura che fu presto bloccata da Balestre. Infatti, all’epoca correva Alain Prost con la Martini Renault e la federazioni si inventò una norma che metteva fuori legge Ghinzani in quanto, avendo già vinto il titolo e partecipato alla F.2, non poteva prendere punti per il campionato e così Prost si trovò la strada spianata senza rivali. Ma Alfa Romeo da quel momento mise le basi per lo sviluppo di un motore che a Novara, nella sede della Novamotor, ha macinato titoli italiani, europei e tutto quello che si poteva vincere in quel periodo. Sulla fine degli anni 80, però, il panorama italiano della F.3 era il top mondiale. In pista anche 58 macchine, GP Lotteria di Monza, con la presenza dei migliori stranieri, con tre batterie e una finale, roba che solo Montecarlo poteva vantare. E così in quegli anni l’accoppiata Dallara Alfa Romeo trovò l’apice.

 

 

La 389 portata in pista a Imola era un modello guidato da Luca Badoer, che poi è diventato collaudatore della Ferrari con la quale ha disputato un paio di GP. Ritrovarsi in quell’abitacolo a distanza di anni è stato come fare un tuffo nel passato. Intanto c’è da dire che per l’epoca era molto moderna, tanto che alcune misure minime di ingombro sono valide ancora oggi nonostante qualche kg in più e una pancetta che non fa giustizia agli atleti. Eppure la Dallara è ancora lì bella valida. Calati nell’abitacolo si cerca la pedaliera. Sono tre, come tradizione di una volta con la frizione a lato vicino al poggia piede e freno con acceleratore a stessa altezza per punta tacco (che poi è punta punta se vogliamo sottilizzare) e una leva del cambio piccolina con escursione minima delle marce.

 

Ritrovare i meccanismi non è facile. La frizione sembra non esistere, stacca in meno di un centimetro, lasciare la macchina spenta ai box è un attimo se non fosse che, prima, cerchiamo di capire dove stacca facendo il pendolo da fermo con meccanici (il mitico Alberto) ci diano una mano a trovare il punto giusto. L’esperienza ci dice che per venire fuori dai guai, leggi figure di palta davanti al pubblico, si deve andare giù decisi. E così il motore con strozzatura da 24 millimetri, e una potenza di poco superiore ai 170 cavalli (i migliori non arrivavano a 175, i peggiori a 169… e lì è nata la leggenda dei motori speciali Novamotor per i piloti privilegiati), deve girare alto.

 

PARTIRE E’ UN PO’…MORIRE DI VERGOGNA

 

Ovvero stare attorno ai 5000 giri altrimenti ci si impianta. Memori del passato, si mette in moto, si pasticcia un po’ con frizione e leva del cambio e si tira il motore come si deve. Ritrovare i meccanismi del passato, su una pista come quella di Imola, non è facile, ma dopo un paio di passaggi per capire da che parte andare, si ricomincia a trovare il vecchio feeling. Con le gomme fredde si balla e si va come una biscia, specie nei tratti ondulati della pista. Poi si riscalda il tutto, le vibrazioni cominciano ad essere accettabili, l’abitacolo non ha fruscii vari o vento che entra dentro, altro segno che Dallara aveva lavorato benissimo già all’epoca, e così si scopre che l’aerodinamica, per quanto semplice e non adeguata a Imola, fa il suo dovere.

 

Stacchi più sotto, scopri che puoi farlo ancora di più. Arrivi alla Piratella, guardi in giro temendo qualcuno che ti venga dentro, ma viaggi mica male e con un po’ di confidenza stai lì, Minerali: qui è un gioco di equilibrio, ma basta non strafare che la 389 obbedisce e sta lì. Si continua a salire e si riprende confidenza, ci si ricorda che per guidare è un conto, andare forte altra cosa. Infatti la F.3 di quell’epoca era una scuola stupenda. I motori giravano alto, poca potenza e quindi obbligo di guida pulita, messa a punto precisa, motore da non far calare i giri altrimenti gli altri ti passavano via sulle orecchie. In questo gioco di equilibrio delicato, il motore cattivo, brutale, secco, così come cambio e frizione. Trovare il giusto punto era difficile, solo i migliori sono emersi grazie magari a team che avevano tecnici che sapevano come operare.

 

 

E quando poi si presentano in 58 al via, di cui 20 in un secondo circa, hai voglia a dire che uno per vincere non era davvero il più bravo. Infatti da quei campionati sono usciti generazioni di piloti italiani di F.1, come dire che oggi se ne abbiamo meno è anche perché è venuta meno una scuola importante come era la F.3 di quel periodo. Il test è finito, torniamo indietro parlando di carburazione, accensioni irregolari, stacchi di frizione e altro. Come dire che dopo 26 anni dall’ultima volta in un abitacolo di una F3 di quel genere, la voglia e il divertimento sono ancora a portata di mano. E il tutto grazie alla passione della Scuderia del Portello, del suo presidente Marco Cajani e del figlio Andrea e delle figure mitiche, leggi Alberto, meccanico DOC la cui storia è tutta da raccontare, il mito Alfa Romeo continua ad essere presente fra noi.

 

 

 

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