F.1 GP Monza, il dramma Peterson e la nascita dei Leoni della Cea nel 1978

 

La gara era decisiva per il mondiale F.1 di quella stagione. Mario Andretti e Ronnie Peterson, con le Lotus 79, erano gli unici rivali in grado di vincere. C’era però una serie di retroscena e cavilli contrattuali per cui Andretti era il numero 1 e Peterson il numero 2. Si arriva a Monza, il 10 settembre, con tanta adrenalina e nervosismo in corpo. Sulla pista di casa la Ferrari vuole un risultato che riscatti la stagione deludente e i tifosi si assiepano lungo il tracciato per inneggiare a Gilles Villeneuve, il piccolo canadese che ha rubato la scena a Reutemann e che, nonostante incidenti e gare sprecate, dimostra di avere qualcosa in più.

 

La giornata comincia subito male con una uscita di Peterson alla seconda chicane. La sua Lotus è irrecuperabile e i meccanici decidono di schierarlo con la vecchia 78 che però monta il motore della 79 smontato. L’attesa al via della gara è lungo perché c’è anche una uscita di Scheckter a Lesmo e si devono sistemare le barriere. Intanto alla prima chicane è stato un fiorire di trabatelli e postazioni posticce. Erano una caratteristica di Monza di quel periodo. Sono intrecci tubolari costruiti con perizia da muratori e carpentieri su cui si ricavano postazioni che, poi, vengono venduti agli spettatori, la maggior parte entrata saltando le reti. Alla prima chicane ci sono tre file, una appoggiata all’altra, per altezze di sei sette metri. Un intreccio unico che sta insieme per miracolo.

 

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Il via della gara è nervoso. Villeneuve e Andretti, in pole, giocano di frizione cercando di bruciare la bandiera del via e infatti Gilles scatta con un piccolo anticipo e si porta in testa al gruppo. L’urlo della folla alla prima chicane è festoso perché una Ferrari è davanti a tutti, ma subito dietro si capisce che qualcosa non va. Il gruppo comincia a sbandare, si vedono pezzi che saltano via e a un tratto una fiammata. La curiosità è tale che tutti si sporgono in avanti e i trabatelli cominciano a vibrare, si piegano in avanti e si appoggiano alle reti. Qualcuno urla terrorizzato, altri che spingono indietro, ma quelli della terza fila vogliono vedere cosa succede e premono, quelli davanti fanno perno per impedirne il crollo. Sono attimi di terrore quando a un tratto passa Pironi con la Tyrrell senza la ruota posteriore e senza ala. Poi un correre frenetico di commissari, pompieri e anche giornalisti presenti in pista.

 

 

La Surtees di Brambilla si ferma proprio sotto alla postazione del vostro cronista mentre le fiamme si alzano forti dal centro pista e tutti corrono. Non si capisce chi sia il pilota, qualcuno urla Peterson! Peterson! Ma l’attenzione è per Brambilla esanime nell’abitacolo coi medici che prestano i primi soccorsi. Poi si scopre che c’è stata una toccata multipla a centro gruppo, con la Lotus che tocca la McLaren di Hunt e sbatte contro il rail prendendo fuoco. Al momento si pensa solo a salvare il pilota e qui nasce la leggenda dei pompieri della CEA. Sono su una vettura al seguito del gruppo dopo il via, una novità per l’epoca. Ermete Amadesi ci aveva visto giusto, infatti in pochi secondi, con la macchina di Peterson che gira impazzita fra le fiamme, i pompieri sono già all’opera e si buttano sulla scocca tirando fuori il pilota svedese.

 

Un intervento impeccabile, il coraggio dei ragazzi, ribattezzati Leoni per come avevano domato le fiamme, pongono Monza e il suo servizio anti incendio all’attenzione mondiale, creando un nuovo standard sulle piste. Si ricorda, infatti, il dramma Williamson in Olanda nel 1973, quando il pilota fu lasciato bruciare nella vettura ribaltata perché i pompieri non erano all’altezza e l’anno prima, in Sudafrica, quando per spegnere la Shadow di Zorzi un pompiere attraversò la strada e fu colpito da Tom Pryce. Morirono entrambi perché il sistema anti incendio non era adeguato.

 

Stavolta, a Monza, tutto funzionò bene. Tranne la sorte. Infatti, mentre si temeva per Brambilla, che fu colpito da una ruota alla testa e rimase in coma per diverso tempo, il lunedì mattina moriva Ronnie Peterson, un pilota divenuto leggenda per le sue imprese e il suo stile di guida. Una embolia grassosa, residuo delle fratture alle gambe, lo portò via. Il dopo corsa fu di quelli da ricordare negli annali. Il gruppo di piloti si schierò, grazie a Hunt che puntò il dito, contro Patrese. Il giovane padovano fino a quel momento era stato protagonista di alcuni incidenti al via. Insieme a Didier Pironi, altro esordiente, spesso e volentieri erano al centro di qualche botto. Hunt fu seguito da altri piloti, fra cui Reutemann, e fu bloccato per una gara. Fu solo un grande lavoro giornalistico della redazione di Autosprint, capeggiato da Marcello Sabbatini, a fare giustizia. Il settimanale bolognese dimostrò, foto e documenti alla mano, che fu Hunt a spostarsi e a colpire Peterson, non Patrese che era vicino ma non si era mosso.

 Ronnie Peterson nell’abitacolo della sua Lotus poco prima di partire per l’ultimo GP della sua vita

 

Il problema fu innescato proprio da Peterson. Il motore della sua Lotus era quello incidentato al mattino e al via della gara ebbe un mancamento, che lo fece quasi bloccare col gruppo che arrivava lanciato. Una serie di circostanze quindi, di cui fu incolpato Patrese che poi ci mise del tempo per rimuovere quelle accuse e quella sentenza choc del tribunale dei piloti, che poi si vergognò di quanto accaduto. La gara riprese con ritardo, in prima fila Andretti e Villeneuve rifecero la stessa cosa del primo via e si beccarono 1 minuto di penalizzazione per partenza anticipata anche se al traguardo arrivarono primo e secondo. La corsa fu assegnata a Niki Lauda davanti a Watson, Brabham Alfa Romeo, e Reutemann, terzo con la Ferrari. Fu quindi un podio tutto tricolore per i motori, ma decisamente falsato in quella che fu Monza 1978, un pezzo di storia indelebile della F.1. Andretti divenne matematicamente campione del mondo di F.1 proprio perché Peterson non fu più in grado di lottare per il titolo.

Automoto.it

 

 

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