L’OPINIONE F.1 Il mondo cambia è giusto che cambi anche il circus

DI GIUSEPPE MAGNI

Non vedremo più i salti al Nurburgring come Regazzoni e la sua Ferrari (tratto da Rolling Stones Italia)

Stavo facendo un po’ mente locale, poc’anzi, mentre rincasavo in automobile. Sì, credo si renda proprio necessario riordinare un poco le idee, nel bailamme di notizie, di dichiarazioni, di furenti polemiche che stanno infiammando i social in questi giorni, tema la Formula 1 e la sua evoluzione prossima ventura.

DAGLI ANNI 70 AI 90 CAMBIATO POCO

Allora, vado a memoria: quando ho iniziato a seguire questo sport, che, per inciso, continuo a considerare il più bello del mondo, era poco prima della metà degli anni ’70. Si correva al Nurburgring, anello nord, quello da 23 chilometri, si correva a Long Beach, a Mosport, a Watkins Glen, sulla vecchia Interlagos e al Paul Ricard, quando non c’erano né strisce multicolori, né la chicane sul Mistral e, all’esterno di Signes c’erano reti metalliche e palette di legno, così come c’erano in tutte le vie di fuga di tutti I circuiti.

L’incidente di Ickx e Oliver in Spagna 70 con Stewart che corre senza fermarsi (dal web)

I piloti si cimentavano in piccolo monoposto che emettevano un rombo meraviglioso, erano seduti in mezzo a dei tralicci di metallo, con I piedi ben oltre l’asse anteriore. Gli standard di sicurezza erano a dir poco approssimativi, si accettava la sfida, così come la si era accettata in tutti i decenni precedenti, sin dagli anni ruggenti. Si accettava pure la morte di uno o più protagonisti, era considerate parte del gioco, lo sapevano tutti e nessuno si scandalizzava. Anzi, fino alla metà degli anni ’90, a fronte di una vittima in gara, si continuava a correre come se niente fosse. Era tutto normale, nessuno gridava allo scandalo.

CAMBIARONO LE PISTE PER PRIMA COSA

Poi c’è stato un periodo in cui si è cominciato a deturpare I vecchi templi del motorismo, riducendoli a tristissime caricature di sé stessi. Penso ad Hockenheim, al Nurburgring, all’Osterreichring, a Silverstone, alla stessa Interlagos. In altri templi, invece, si è preferito non andarci più, troppo pericolosi, troppo difficili da affrontare, o anche solo da modificare. Anche le monoposto sono diventate via via più sicure, l’introduzione della fibra di carbonio ha fatto fare un salto in avanti mirabolante alla categoria, sia dal punto di vista delle prestazioni, data la sua leggerezza e malleabilità, che, soprattutto dal punto di vista della sicurezza, essendo praticamente indistruttibile.

Ronnie Peterson morì al volante della Lotus 78 in un incidente che oggi non lascia conseguenze alcuna (dal web)

IL FUOCO NEMICO SCONFITTO. O QUASI

Nel frattempo si è sconfitto il fuoco, altra eventualità universalmente accettata dalla vecchia generazione di piloti e appassionati, e si è cominciato ad introdurre circuiti super sicuri, con vie di fuga sconfinate e, in tempi più recenti, addirittura asfaltate. Ad un certo momento, abbiamo abolito i vecchi carissimi 12 cilindri, dalla melodia sublime, a favore dei 10, e poi degli 8. Che, tutto sommato, suonavano ancora mica male. Poi, dal 2014, con le power unit, il caro vecchio rombo, tipico del motorismo sportivo, è letteralmente scomparso, rendendo inutile la collezione infinita di tappi auricolari che ogni buon appassionato di una certa età ha certamente conservato, a ricordare i bei, vecchi tempi andati.

Il suono del 12 cilindri piatto della Ferrari 312 T di Niki Lauda rimane unico (foto dal web)

Nel frattempo si sono aboliti anche i test in pista, con i quali non solo si potevano sviluppare a dovere le macchine, ma si potevano allenare a dovere anche i piloti. Sono apparsi i simulatori, costosissime apparecchiature che l’appassionato non ha mai visto, ai quali non ha mai avuto accesso e, dei quali, tutto sommato, gliene frega pure poco. Insomma, siamo passati dal rogo di Niki Lauda sulla Nordschleife a Jeddah, dalla morte di Gilles Villeneuve al deserto del Bahrain, dal tragico week end di Imola 1994, dove comunque la corsa si disputò, vinse Schumacher e secondo Nicola Larini sulla Ferrari, all’Azerbaijan.

MIAMI E LAS VEGAS IL FUTURO DELLA F1?

La finta spiaggia di Miami con le barche, vince il glamour la corsa è secondaria

E ora corriamo già a Miami e andremo, anzi, torneremo a Las Vegas. La Formula 1 è cambiata, profondamente e, per tanti aspetti, inevitabilmente. Non è più quella degli anni ’70, ma nemmeno quella degli anni 2000. È cambiato tutto, ma proprio tutto, soprattutto la mentalità di chi la pratica e di chi, da appassionato la segue. Quindi, dico io, perché scandalizzarsi così tanto se cambierà ancora nel suo format, per renderla, a detta dei padroni del vapore, più spettacolare? Non ci saranno più le libere? E allora? I test in pista sono stati aboliti tanti anni fa. Ci saranno due qualifiche e due gare nello stesso weekend? Meraviglioso!

NUOVO FORMAT CON DUE QUALIFICHE A VANTAGGIO DEL PUBBLICO

Finalmente anche chi paga il biglietto del venerdì avrà lo spettacolo assicurato, dato che ora si tratta di una giornata che, se piove, è facile non vedere assolutamente nessuno in pista. Voglio dire, è inutile stare qui a fare i nostalgici e a piangerci addosso. Nostalgici di che cosa poi? Le prove libere servono per la sicurezza? Ma dai, i calcoli strutturali sono ormai sofisticatissimi, i crash test severissimi, basta una bella tre giorni di test a inizio stagione e poi si può andare tranquillamente con una sola sessione, come sembra accadrà in Azerbaijan. Il mondo è cambiato, ragazzi! E cambierà ancora. Facciamocene una ragione.

E cerchiamo piuttosto di adeguare quel poco che rimane dei vecchi templi, tipo Spa o Monza, anche se, per la seconda, stanno già in troppi suonando le campane a morto. Piuttosto lottiamo contro track limit e penalità assurde, ma il format, suvvia, dai, siamo sinceri: più spettacolo c’è, meglio è! Buon Gran Premio d’Australia a tutti!

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