GP Malesia: l'ultima volta di Sepang ma era cominciata così…

 

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Era il 1999 e si correva per la prima volta il GP di Malesia sull’inedito tracciato di Sepang. Ora, ottobre 2017, ci sarà l’ultima edizione di questa corsa che è entrata negli annali della storia per essere una delle prime della regione. Ma come furono gli inizi, cosa scoprì la truppa F.1 approdando in quello che, per noi italiani, era il regno di Salgari?

La prima cosa che ti colpisce è l’umidità. Entrare in una sauna, respirare vapore acqueo, ha lo stesso effetto sul fisico.

 

Basta camminare per le strade, fermarsi davanti a una vetrina e scoprire di essere coperti di sudore. Condizioni ambientali davvero difficili, specie per chi non è abituato come noi europei. Immaginarsi di vivere, muoversi e respirare in questo ambiente è dura, immaginarsi di doverlo fare con una tuta addosso, un casco e sentirsi stretti dalle cinture in un abitacolo di una monoposto di F.1 è roba per gente forte. Non è un caso che il Gran Premio di Malesia sia uno dei più duri per il fisico dei piloti. I piloti a due ruote, infatti, avevano già corso in questo clima torrido e i colleghi della stampa erano stati prodighi di consigli su dove andare a dormire, quali alberghi scegliere, quali ristoranti, come non farsi fregare dal cambio in nero e, soprattutto, dove andare a comprare computer, cd, programmi software, telefonini e abbigliamento a prezzi stracciati.

 

UNA NAZIONE DA SCOPRIRE E APPREZZARE

 

Scoprire la Malesia era l’imperativo di tutti. E così, appena l’aereo ha cominciato la manovra di atterraggio presso il nuovo aeroporto internazionale di Kuala Lumpur, KLIA, secondo l’acronimo usato dai locali, il colpo d’occhio di foreste di palme veniva bruscamente interrotto come se una grossa mano avesse strappato via tutto. Niente più alberi, ferite nella terra evidenziate dalla sabbia rossa in contrasto col verde delle piantagioni. E in mezzo l’autodromo di Sepang: una struttura nuovissima, mostruosamente elegante con i suoi colori artificiali, con le palme di plastica al posto di quelle vere strappate dalle ruspe.

 

Dall’aereo lo spettacolo è davvero incredibile, ma anche preoccupante: per decine di chilometri attorno all’autodromo, ma anche attorno all’aeroporto, non c’è assolutamente nulla. Palme, strade nuovissime, e ancora palme. Sepang è un villaggio di poche anime a una decina di chilometri dall’autodromo, caratterizzato da un albergo situato in un grattacielo (il famigerato, per i giornalisti, Empress) attorniato da una serie di baracche col tetto in lamiera, bancarelle e ragazzini che corrono dappertutto in mezzo a motorini dall’assetto improbabile. Uscire dall’aeroporto di Kuala Lumpur è una impresa: appena scesi dall’aereo si trovano i nastri trasportatori che portano al centro del satellite che ospita le porte di imbarco. Attorno ci sono una serie di negozi, palme e altre piante (anche queste finte) illuminate da lampade colorate in blu, arancio, rosso, giallo e verde. Proprio al centro di questa serra per esseri umani ci sono le rotaie del treno, vagoni che ricordano la metropolitana di Milano o Roma. Dopo pochi minuti di viaggio si arriva al controllo passaporti e poi le uscite: gruppi di tassisti abusivi, personale con divise dai colori improbabili e una serie di cartelli. Per il gruppo della F.1, che decide di restare in zona, l’appuntamento è per la reception del Pan Pacific,(ora ribattezzato Sama Sama) il megamodernissimo hotel all’interno della struttura dell’aeroporto.

 

Per la F.1 che conta succede tutto qua: il rilascio dei pass (che adesso hanno spostato all’ingresso dell’autodromo di una baracca che bolle sotto al sole) le conferenze stampa, il pernottamento dei meccanici delle squadre che contano (Ferrari, McLaren, Mercedes). Chi invece decide di andare in centro a Kuala Lumpur, dovrà sobbarcarsi 70 chilometri di autostrada. Scomodo per andare e tornare dal circuito, sono in totale 140 chilometri al giorno, comodissimo invece per gustarsi la vita notturna di Kuala Lumpur. Almeno si può cenare a un ristorante scegliendo il menù preferito (come succede da Modesto, ristorante italiano gestito da due soci, uno bresciano della Valcamonica e un bergamasco di Treviglio) invece che stare chiusi nel self service del Pan Pacific o Sama Sama che dir si voglia (alto livello) o in quello dell’Empress (scadente e pure costoso) e vedere le stesse facce del mattino a colazione, poi a pranzo in autodromo e infine la sera a cena. Peggio che in caserma. Per non dire del vizio tutt’altro che locale, di clonare le carte di credito. Anche la F.1 è stata colpita dal malvezzo e addirittura a Jarno Trulli prelevarono 100 milioni di lire dal conto. Nell’edizione del 2003 della gara, comunque, il personale coinvolto nelle clonazioni indebite è stato arrestato e i 150 milioni di dollari sottratti negli anni ai vari malcapitati, sono stati resi.

 

IL TRAFFICO PROBLEMA UNIVERSALE

 

 La prima volta della F.1 a Kuala Lumpur è stata tutta una scoperta. Si comincia dal noleggiare una macchina. Non si trovano vetture a sufficienza perché la richiesta del personale che opera nei Gran Premi è tale che a Kuala Lumpur lo stesso numero di auto le noleggiano in un anno. Bisogna accontentarsi e non ci si deve stupire se dopo lunga trattativa e discussioni sul prezzo e disponibilità dell’auto, ti rifilano una Proton con 80 mila chilometri, con le gomme lisce, il volante storto e la macchina che va tutta da una parte. L’alternativa è noleggiare un taxi, autista compreso, che al modico prezzo proposto per tre giorni, riesce a mantenere tutta la famiglia per sei mesi.

 

Appena si lascia l’autostrada dell’aeroporto e si supera il bivio per l’autodromo, ci si ritrova davanti i caselli dell’autostrada. Tutti dipinti di verde, con una scritta enorme Selamat Jalan alternata a Selamat Datang. Buon viaggio e benvenuti. All’interno delle casupole ci sono gli addetti al rilascio degli scontrini. Mentre da noi in Italia basta premere un tasto per veder comparire il cedolino (a volte non accade, ma di norma…) in Malesia il costo della manodopera è talmente basso che per ogni casello c’è una persona che ti consegna brevi manu il tagliando. Spesso si tratta di ragazze o donne di una certa età, rigorosamente coperte dal velo islamico di colore verde come le cabine. La loro abilità e rapidità è incredibile. Soprattutto nell’evitare qualsiasi contatto fisico con gli altri. Prima di arrivare a Kuala Lumpur qualcuno della federazione aveva fatto conoscere le regole locali, in modo da evitare gaffe o problemi fra giornalisti e personale europeo e personale malese. E infatti alla presentazione ufficiale della gara, la fidanzata di Pedro Diniz a momenti fa scoppiare il caso diplomatico: abito nero attillato, scollatura da urlo e seno in bella evidenza. Sarà stato anche vietato, ma le autorità locali non hanno disdegnato affatto.

 

Appena si passa il casello di ingresso in autostrada arriva il primo dubbio: cartello di sinistra, indicazione per Kuala Lumpur. Cartello di destra, indicazione per Kuala Lumpur. Due autostrade, stessa destinazione. Quale prendiamo? La prima a sinistra. Poi scopriamo che è meglio la prima a destra, che confluisce in quella di sinistra dopo cinque chilometri invece che dopo quindici… Dopo una serie di ghirigori da far ubriacare un astemio, in lontananza si vedono le Petronas Towers, le due enormi torri gemelle di oltre 450 metri di altezza. Sono il punto di riferimento al centro della città, con l’altra grande torre, la Menara Tower, (che poi in malese Menara significa torre cioè Tower in inglese…) che ricorda un po’ quella di Chicago o Toronto per forma e stile. Impossibile perdere l’orientamento, quando il mio compagno di viaggio, cartina stradale alla mano, urla di colpo: “A sinistra, gira a sinistra che siamo arrivati”.

 

L’albergo scelto, il Melià Center, si trova in Jalan Jimbi. Il cartello stradale indica infatti Jalan e qualcosa, ma nella fretta di toglierci di mezzo al traffico caotico di Kuala Lumpur non ci abbiamo fatto caso. “Ahò, gira de qua che siamo arrivati” dice ancora la stessa voce. “No, devi annà de là”. Finiamo nel mezzo di una selva di piante selvatiche, capanne e corsi d’acqua limacciosi. Lo scoramento comincia a prendere forma e la stanchezza del lungo viaggio, oltre 12 ore di volo, si fa sentire, complice anche il caldo afoso. Alla fine decidiamo di chiedere informazioni a un piccolo malese con indosso una maglietta bianca e un pantaloncino sudicio. Dopo aver capito da che parte andare, facciamo anche un’altra scoperta: a Kuala Lumpur, e in Malesia in genere, la scritta Jalan indica la via. Il nostro albergo si trova in Jalan Jimbi, come dire in via Jimbi, noi invece appena visto un cartello Jalan ci siamo infilati dentro la via senza capire che la scritta indicava, appunto, via e non la meta finale. Dopo una serie di Jalan, fra cui Sultan Ismail, Jalan Embe, Jalan Pudu, in qualche modo si arriva in albergo.

 

DA KUALA A SEPANG UN VIAGGIO AVVENTURA

 

Giunti sul posto la domanda è: adesso come si fa a tornare in autodromo? Semplice, secondo il personale dell’albergo. Basta seguire un vialone fino all’ambasciata Saudita, girare a destra, prendere la rotonda e infilare la prima a sinistra facendo attenzione a non superare la terza deviazione a destra, infilarsi sul cavalcavia e dirigersi verso l’autostrada, direzione Nilai. Da qui costeggiare il vecchio aeroporto, prendere per Sha Alam, deviare per Port Dixon e infine trovare il cartello che indica KLIA, l’aeroporto. In appena un’ora e dieci minuti, traffico permettendo, si arriva in autodromo…Adesso, con due nuove autostrade, muoversi diventa ancora più dura e quindi, taxi per forza!

 

Nonostante le distruzioni, lo sradicamento di migliaia di alberi e la rimozione di interi tratti di foresta, il fascino della Malesia resta intatto. Salgari aveva ambientato le imprese dei suoi tigrotti lassù nel Borneo. Noi siamo più lontani, ma il ricordo di quelle letture ce lo portiamo dentro. E’ per questo che venerdì mattina, 15 ottobre 1999, prima giornata di prove ufficiali del GP di Malesia, quando un felino attraversa la pista e nervosamente scavalca gomme di protezione e guard rail, un cronista italiano fa il primo lancio d’agenzia: “Cucciolo di tigre invade la pista in Malesia”. Peccato che le immagini televisive a circuito chiuso abbiano mostrato invece un gatto selvatico dal manto tigrato che si dava alla fuga impaurito dal rombo dei motori. Giustificazione del collega: “Se dicevo gatto attraversa la pista mi prendevano a pernacchie. Invece cucciolo di tigre, e per quanto ne sappiamo poteva anche essere visto il mantello, fa più figo”. E’ la F.1, baby, direbbe qualcuno.

 

METTI IL TAMPAX SOTTO AL CASCO PER NON SUDARE!

 

Il caldo atroce, però, mette a dura prova la resistenza fisica dei piloti. Qualcuno suda abbondantemente e per risolvere il problema viene rispolverato un vecchio sistema usato da Nicola Larini quando correva con l’Alfa Romeo nel campionato turismo. Il toscanaccio, un simpaticone, sudava moltissimo e parlando con la moglie Barbara ebbe l’idea: mettere un tampax sotto la calotta del casco, in modo che il sudore fosse assorbito dal tampone e non cadesse negli occhi. Per la cronaca, le prove e la gara un pilota le ha disputate cambiando non solo le visiere del casco ma anche l’assorbente, richiesto alle ragazze che lavoravano nell’hospitality della squadra…

Finite le prove, il mondo della F.1 a Kuala Lumpur si dedica allo shopping: meccanici, piloti e tecnici, comprano di tutto. Quelli della Ferrari, per esempio, a China Town si sono distinti per aver comprato magliette e cappellini col marchio della rossa. Sulle bancarelle costavano meno di quanto la stessa Ferrari non li facesse pagare ai propri dipendenti. Non parliamo di macchine fotografiche digitali, memorie per computer e camere digitali, orologi replica di Rolex, Panerai, TAG. In un negozio del centro, a dire il vero, si è distinta anche Corinna Schumacher. Per comprare un paio di telefoni cellulari della Nokia la signora Schumacher, moglie del noto plurimilionario signor Michael, 100 milioni di dollari all’anno fra ingaggi e sponsor, ha cominciato una estenuante trattativa per avere lo sconto. Costo dei telefoni: un milione di lire al cambio (la moneta locale si chiama Ringit, ma secondo lo standard di Ercole Colombo, noto fotografo di F.1, tutte le valute che non siano quella italiana si chiamano petecchie: c’è la petecchia malese, quella giapponese, quella ungherese etc..). Ebbene, Corinna Schumacher, dopo lunga ed estenuante trattativa, è riuscita a comprare i telefoni cellulari della Nokia con lo sconto. Quel giorno Michael aveva fatto la pole position al ritorno in gara dopo l’incidente di Silverstone. Bisognava festeggiare in qualche modo. Vista l’abilità nelle trattative, si è anche scoperto che i contratti con la Ferrari non li discute Michael Schumacher e nemmeno il manager Willi Weber, ci pensa Corinna in persona…

 

LA PRIMA VOLTA A KUALA COL PRINCIPE REGNANTE

 

Della prima edizione del GP di Malesia va ricordata anche l’enfasi data dalle autorità politiche locali. Lo stesso re aveva invitato i giornalisti occidentali alla sfilata della festa dei fiori. Sul cartoncino di invito c’era scritto: abito scuro con cravatta. Visto da chi proveniva l’invito, tutti si sono presentati in giacca blu, con tanto di cravatta regolamentare. Con 38 gradi e umidità del 70 per cento, era una sofferenza. Quando poi sua Maestà si è presentato a salutare la stampa internazionale e i suoi sudditi e si è visto che indossava una camiciola a mezze maniche con un comodo pantalone bianco di lino, qualcuno ha pensato a una nuova forma di tortura. I giornalisti, si sa, non meritano nessuna pietà. Michael Schumacher, il giorno dopo, ghignava sarcastico al solo pensiero…

 

Per capire il fascino di Kuala Lumpur bisogna però vedere il film “Entrapment” con Sean Connery e Catherine Zeta Jones. Le due Petronas Tower illuminate, il metrò, le vie di Kuala Lumpur, sono esattamente così, solo che quando ci passeggi non te ne accorgi a causa del clima torrido e umido. Per godersi il panorama, però, niente di meglio che andare a mangiare alla Menara Tower. Lassù, a quattrocento metri di altezza, c’è il ristorante girevole più spettacolare. I tavoli con i buffet sono al centro, la ruota esterna, coi tavoli, ruota lentamente e consente di osservare il panorama unico di questa incredibile città. Per le prenotazioni non c’è nessun problema: basta dire all’ingresso il nome dell’albergo, un numero di stanza fittizio e fare la faccia arrabbiata quando rispondono che non esiste nessuna prenotazione. Basta dire, infuriati, che stai per andare in hotel a reclamare e far licenziare chi non ha fatto la prenotazione, che le ragazze all’ingresso troveranno subito il sistema per far accedere agli ascensori che portano all’ultimo piano della Menara Tower. Come dite? E’ un sistema scorretto e molto italiano? Vero, ma ne vale la pena se per caso vi siete dimenticati di prenotare davvero.

 

 

 

 

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