IL FASCINO DELLE TURISMO D’EPOCA AL PAUL RICARD

Testo e foto MARCO FERRERO

 

Il Masters Historic di Le Castellet, sul circuito del Paul Ricard, è principalmente conosciuto tra gli appassionati di vetture storiche, al pari di quella manifestazione monegasca che quest’anno si è tenuta nell’ultimo weekend di aprile, per il ritorno in pista delle monoposto di Formula 1, anche se, per la verità, il weekend francese sulle colline della Provenza porta sul tracciato una variopinta e multiforme tipologia di vetture.

Una delle categorie che più suscita nostalgia e che viene seguita con una certa sorta di “tenerezza” è quella delle vetture turismo, non fosse altro perché, per chi ha qualche capello bianco in più in testa, in grado di rievocare ricordi di una ormai lontana gioventù e, magari, di riproporre vetture che si è posseduto, sulle quali si è viaggiato o che facevano parte di quei sogni di gioventù mai realizzati.

Sicuramente il “Masters pre-66 Touring Cars”, declinato nelle sue classi di cilindrata (over 2.000 cc, da 1.600 a 2.000 cc, da 1.300 a 1.600 cc e fino a 1.300 cc) è quello più capace di riportare nel passato, in un periodo di rinascita post bellico e di crescita nel quale la motorizzazione diventava un fenomeno di massa e nel quale i giovani si avvicinavano alle competizioni, il più delle volte con pochi mezzi e tanta passione, proprio attraverso l’elaborazione di quelle vetture “di tutti i giorni”, riportando alla memoria qual’era il parco automobilistico di quell’epoca.

Altrettanto, ma ad un livello a quei tempi economico / sociale superiore, riesce a fare la categoria “Gentlemen Drivers”, dove le vetture impegnate sono Gran Turismo ante 1963, e quindi a quel tempo ad appannaggio di una più ristretta nicchia di persone benestanti, che potevano permettersi qualche lusso in più, e le cui vetture rispondevano ai nomi di Ford Mustang, Porche 911, Austin Healey, solo per citarne qualcuna, vetture che rappresentavano uno status symbol e che di fatto erano il sogno di tutti.

Ultime, ma ovviamente non ultime, quelle che oggi chiameremmo “supercars”, certamente non vetture “turismo” e neppure “gran turismo”, quelle che erano l’equivalente delle Ferrari o delle Lamborghini di oggi, e che possono impersonificarsi nella Cobra Shelby, tanto per capirsi, vetture da sogno che sì potevano girare sulle strade ma che di fatto erano state concepite per le competizioni, e che possono essere citate solo come punta dell’iceberg dell’automobilismo di quei tempi.

Una categoria, quella delle “Turismo”, che vive di un suo fascino proprio; impossibile non pensare all’evoluzione che quelle vetture hanno avuto in sessant’anni, sino ai giorni nostri, non paragonare le dotazioni rispetto ai modelli che guidiamo normalmente, non rilevare la mutazione, sempre crescente, delle dimensioni e del comfort, tali per cui un’utilitaria di oggi risulta “migliore” di una vettura di alta gamma di qualche decade fa.

Impossibile non rilevare la passione e la cura con le quali i proprietari trattano queste vetture, quasi coccolando i loro mezzi, impossibile non prendere atto come alcuni modelli, la Mini piuttosto che la Porsche 911, solo per fare un paio di esempi, pur nella loro evoluzione abbiano mantenuto la loro identità tenendo sempre viva la propria tradizione, di fatto due pietre miliari nella storia dell’automobile, oggi come allora sempre presenti sul mercato, oggi come allora sempre presenti in pista.

Forse, in fondo, il fascino delle vetture turismo sta proprio nella loro capacità di perpetrare la propria tradizione e di mantenere ancora vivo, anche se solo nella memoria, in quanto molti di quei marchi sono purtroppo ormai scomparsi, il ricordo di cosa abbiano saputo rappresentare in un momento storico nel quale l’automobile iniziava a rappresentare un fenomeno di massa ed era un mezzo per allargare la propria libertà ed i propri orizzonti, sogni compresi.

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