Schumacher 50, gli artefici del mito nelle interviste dell’epoca. Willi Weber, Sabine Kehm, Balb

Se non fosse stato per lui e la sua testardaggine, Michael Schumacher oggi sarebbe solo uno dei tanti ragazzi appassionati di macchine della zona di Kerpen. Invece grazie all’investimento di Willi Weber, che gli pagò la prima stagione in F.3, e alla tenacia di questo sessantenne tedesco Michael Schumacher è diventato quello che è: il campionissimo della F.1. “Devo dire che quando ho conosciuto Michael avevo qualche anno di meno – scherza Willi Weber – e da allora siamo cresciuti insieme. Abbiamo fatto esperienze, imparato molto strada facendo. Quando lo conobbi era un ragazzino, oggi è un uomo completo, un professionista affermato, unico nel suo genere. Fino al 1991, quando debuttò in F.1, la nostra vita era normale. Poi, da quel momento in poi la nostra vita ha subito una accelerazione tale che solo la F.1 può dare. Non nascondo che si sia formato un rapporto speciale, da manager a pilota iniziale, oggi è un rapporto di amicizia molto stretto, la relazione con lui è unica. Stare vicino a Michael non è difficile, è un ragazzo diretto, determinato e concentrato in quello che fa. Non nascondo che anche la mia vita sia cambiata, ma soprattutto dal punto di vista umano. Michael è uno che ti coinvolge. Lavorare con lui ti mantiene giovane, ti dà ritmo. Prendete me: ho 70 anni ma ne dimostro solo 69… ndr ai tempi dell’intervista”.
WILLI WEBER: COSI’ HO SCOPERTO MICHAEL, ECCO COME LAVORAVA
L’umorismo non difetta a Willi Weber, ma proprio perché ha imparato a fare il manager insieme a Michael Schumacher, non nasconde di aver commesso degli errori: quale è stato lo sbaglio maggiore commesso durante la carriera di Schumacher? “Di sicuro ho sbagliato a non fare pagare di più Flavio Briatore… A pensarci oggi credo che avremmo dovuto chiedergli più soldi! Scherzi a parte, alla Benetton e con Briatore abbiamo passato cinque anni meravigliosi e irripetibili. E’ stato lì che abbiamo gettato le basi per il Michael Schumacher di oggi”.
Essere il manager di Michael Schumacher significa occuparsi della logistica, del management, organizzare gli appuntamenti, stipulare i contratti, essere intermediario fra Michael e gli sponsor, tra il team e Michael. E’ una discreta mole di lavoro, ma anche una posizione di enorme potere dato che è proprio lui, Wilheim Weber, detto Willi per gli amici, ad assumere le decisioni fondamentali per il funzionamento dell’impresa che ruota attorno al nome e all’immagine del pilota tedesco. Il contratto che legava le fortune di Schumacher a quelle del suo manager durava dieci anni (è scaduto quindi nel 2006, data fatidica nei rapporti di Schumi con la Ferrari). L’accordo prevedeva per Weber una percentuale del 20 per cento sui guadagni. E quando il manager tedesco lo dice, sottolinea la parola “solo” del 20 per cento. Se gli si fa notare che l’avverbio “solo” potrebbe anche apparire poco appropriato, soprattutto alla luce delle cifre che girano attorno a Michael Schumacher, superiori ai 50 milioni di Euro all’anno, Willi Weber dissente con garbo:
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“Perché normalmente le percentuali pretese dai manager si aggirano mediamente su valori superiori, sul 30-35 per cento sono la normalità in F.1. E poi c’è da considerare il rischio…”. Il rischio fa parte della vita di Weber. Ha accumulato una piccola fortuna esercitando il “rischio di impresa” nella gestione di una catena di locali pubblici in Germania. Secondo le malelingue si tratterebbe di locali a luci rosse e una leggenda metropolitana, fatta circolare nei box, voleva anche Willi Weber come protagonista di alcuni film hardcore. Poco male e beato lui, si potrebbe dire. Fatto sta che il capitale accumulato nelle attività di gestione di locali pubblici in Germania è stato investito in un piccolo team di F.3, il WTS. Willi Weber può vantare anche dei piccoli trascorsi da pilota, ma se oggi nel mondo dell’automobilismo è conosciuto, lo si deve alla sua attività di manager. Da quando Weber ha messo sotto contratto Michael Schumacher, nel 1989, si occupava di tutte le attività del pilota tedesco: “C’è da dire che tra noi il rapporto è stato di completa fiducia. E’ rarissimo che io coinvolga Michael in qualche problema commerciale. Normalmente sono in grado di interpretare perfettamente lo stile Michael Schumacher. Michael è un ragazzo giovane, entusiasta, capace di lavorare ventiquattro ore al giorno, un vincente di natura… questo è il carattere che cerco di trasferire in ogni prodotto commercializzato nella sua linea”.
La gestione Weber non conosceva confini: responsabile delle pubbliche relazioni, dei rapporti con la squadra, del settore commerciale, dei legami con gli sponsor. Weber aveva sotto contratto “solo” due piloti di F.1: “Sì, erano solo due ma uno si chiamava Michael Schumacher, il pilota più grande della storia della F.1. L’altro era suo fratello Ralf, che rappresentava per me il miglior pilota del futuro”. Come dire che l’avvenire di Willi Weber è assicurato. Al venti per cento, ovviamente…
SABINE KEHM, CON MICHAEL IMPARATO MOLTISSIMO A LIVELLO UMANO
Se Willi Weber rappresentava per Michael Schumacher la parte commerciale della sua azienda ad personam, c’è anche il lato comunicazione, che è rappresentato dalla bionda misteriosa che ogni tanto compare dietro al pilota tedesco durante le interviste alla TV. Lei è Sabine Kehm, giornalista tedesca e addetta stampa personale del pilota della Ferrari. Professionista, 37 anni, prima di lavorare con Michael, Sabine si divideva fra le pagine del prestigioso quotidiano Die Welt e quelle dell’altro giornale del sud della Germania, il Suddeutsche Zeitung. Originaria della Baviera, oggi Sabine vive fra Berlino e la Svizzera, adesso segue il figlio maggiore di Michael, Mick, nella sua avventura che lo ha portato a vincere in F.3 e che dalla stagione 2019 lo vedrà al volante in F.2. “Ho conosciuto Schumacher quando lo incontrai per fargli un paio di grosse interviste che furono pubblicate sui quotidiani per i quali lavoravo – racconta Sabine – e alla fine del 1999 fui sorpresa quando ricevetti una telefonata da Willi Weber, il manager di Michael. Mi chiedeva se fossi interessata a lavorare come addetta stampa. Accettai e da quel momento ho cambiato la mia vita. Stare al fianco di Michael è impegnativo, chiede molto e pretende molto, ma devo anche dire che ho imparato tantissimo stando con lui. Mi ero sempre chiesta cosa ci fosse dietro la barricata.
Da giornalista conosci i meccanismi che regolano la comunicazione, ma stare dalla parte di chi deve dare le informazioni è diverso. Ho imparato tanto e devo dire che l’esperienza con Schumacher mi ha arricchito professionalmente e umanamente. Michael è uno diretto, parla chiaro e non ci sono pericoli di sotterfugi. E’ un ragazzo molto diretto, se qualcosa non gli va bene te lo dice in faccia, non parla alle spalle. E questo è molto buono, perché sai sempre con chi hai a che fare e soprattutto come la pensa su tutto. E’ una persona capace di ascoltare: se qualcosa non lo convince sta a sentirti. Se poi lo convinci e ti dice sì su una certa intervista o una certa operazione, sei sicuro che poi non cambia idea. E’ bello lavorare con uno così, anche se lo stress, la pressione, sono tali che la tua vita ne esce stravolta”.
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Fra i piloti moderni Schumacher è stato il primo a enfatizzare la figura di un addetto stampa. Prima di lui solo Ayrton Senna aveva una sorta di portavoce, Betice Asumpcao, diventata poi la moglie di Patrick Head dopo la tragedia di Imola del 1994. A differenza di Senna, però, Schumacher delega quasi tutto ai propri addetti stampa. Mentre il brasiliano parlava con tutti in portoghese, inglese, francese e italiano e a seconda della nazione della stampa sottolineava alcuni punti (per esempio con gli inglesi polemizzava con la McLaren, con i francesi dava delle stoccate a Prost, con gli italiani sottolineava la Ferrari) Schumacher parlava solo inglese e tedesco. L’italiano lo ha imparato ai tempi della Ferrari per capire cosa dicevano i meccanici, coi quali ha legato molto. E paradosso assoluto, quando è tornato in F.1 con la Mercedes parlava più italiano nelle interviste di quanto non lo avesse fatto ai tempi della Ferrari. All’epoca quello che diceva veniva registrato e poi ripreso e divulgato da Sabine, ma in precedenza, ovvero dal 1995 e fino alla fine del 99, era un giornalista tedesco come Heiner Buchinger a farsi carico dei pensieri e delle parole di Michael.
L’accordo fu sciolto dopo le polemiche della stagione 99, quella in cui Schumacher si fratturò la gamba a Silverstone. Per non creare contrasti con la Ferrari, Michael fu costretto a fare a meno di Heiner, che peraltro andò a lavorare col fratello Ralf alla Williams. Buchinger, però, è stato il prototipo del giornalista del futuro. Nessuno ha mai svolto prima di lui il compito di interfaccia fra il pilota e la stampa. Dal febbraio 1995 Buchinger ha rappresentato l’alter ego di Michael Schumacher, un alias cui ricorrere quando si cerchi un legame col pilota tedesco, tutti i giorni, più volte al giorno. Il rapporto con la stampa è fondamentale per l’impresa commerciale rappresentata da Michael Schumacher. E’ la sua immagine quella che si vende e che fa vendere. I mass media costituiscono il veicolo più efficace per diffondere questa immagine. Per questo lato commerciale della carriera di Schumacher, è stato il manager Willi Weber a consigliare Schumi di assumere un giornalista specializzato come addetto stampa.
La pressione dei media su Schumacher è enorme e macina tutto. Un esempio? Nel GP del Brasile del 96 Corinna adottò un cagnolino. Racconta Heiner: “La stampa tedesca dedicò più righe al cane che all’altro pilota tedesco di F.1, Heinz Harald Frentzen. Spero che Heinz non si offenda, ma questo è il sintomo di quale sia l’interesse con cui i giornali trattano ogni persona, ogni animale o cosa che sia in relazione a Michael Schumacher”. Tanta pressione potrebbe far saltare i nervi al pilota, ma Heiner, che lo ha seguito all’inizio, sfata questa impressione: “Michael è uno molto controllato, solo una volta, con la stampa inglese, andammo vicino alla rottura. Gli avevano dato del topo di fogna, poi ci fu un chiarimento”.
BUCHINGER L’ADDETTO STAMPA LICENZIATO DALLA FERRARI…
Quali furono le prime parole che le disse Schumacher quando l’assunse come addetto stampa? “Nessuna, pensò che essendo un giornalista sarei stato capace di trattare con dei colleghi”. L’avventura poi finì, perché? “Ci furono delle diverse interpretazioni su alcune dichiarazioni di Michael nella stagione 99. La Ferrari chiese ed ottenne il mio licenziamento perché non in sintonia con il loro ufficio stampa. Michael mi disse che gli dispiaceva, ma doveva troncare il nostro rapporto perché a Maranello non volevano. Sono cose che succedono, capisco perfettamente le difficoltà di un certo lavoro”. Heiner è stato però reintegrato da Willi Weber come addetto stampa di Ralf Schumacher, che correva con la Williams BMW. Dal nuovo ruolo Heiner ha tratto giovamento, ma parlando con alcuni colleghi, ogni tanto, poteva sottolineare alcune cosette non proprio lineari che accadevano alla Ferrari. D’altronde, non gli mancavano le fonti…
BALBIR SINGH, DALL’INDIA IL SEGRETO DI SCHUMACHER IN F.1
Ultima persona che ruotava attorno a Michael Schumacher era il suo massaggiatore, l’indiano Balbir Singh. E’ l’uomo che stava sempre dietro al pilota della Ferrari, una vera e propria ombra umana che non lasciava un istante il pilota tedesco. E proprio come un’ombra di lui si sa poco, o quasi niente: Balbir Singh era il fisioterapista e massaggiatore di Michael Schumacher, era colui che lo preparava prima di una gara, che ne raccoglieva le confessioni dopo, quando manipolava i muscoli affaticati del campione della Ferrari, quando gli suggeriva diete, allenamenti, preparazioni specifiche. Di Balbir si sa solo che è indiano. E che vive in Germania. Provenienza esatta e data di nascita sono un piccolo segreto che Balbir vuole tenere per sé. Non ama essere al centro dell’attenzione e, infatti, dopo sette anni al fianco di Michael Schumacher, di lui si sa ancora poco: “Posso solo dire che ricordo ancora molto bene la prima volta che mi presentai a un test di F.1 – dice Balbir Singh – era la fine del 1995, a Le Castellet. Era la prima volta che vedevo una F.1. Michael cercava un nuovo fisioterapista e suo zio si rivolse a me. Mi presentai in pista, ma non conoscevo nulla di F.1 e di quanto incredibilmente veloci fossero quelle macchine. Rimasi con Michael pochi giorni e dopo una settimana mi chiamò. Mi chiese se volevo lavorare con lui. Accettai e da quel momento la mia vita cambiò completamente. O meglio, fu divisa in due parti: da una parte la F.1, pressante e professionale, dall’altra la mia vita privata a casa che è decisamente il contrario dello stress della F.1. Dal punto di vista professionale la mia vita è una sfida dato che Schumacher è incredibilmente allenato e pieno di energia. Dal punto di vista personale ho imparato moltissimo e acquisito molto dato che Michael per me è diventato un grande amico”.
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Anche se vestiva la divisa della Ferrari, Balbir era pagato direttamente da Michael Schumacher, che gli pagava anche le trasferte ai Gran Premi. Quando Michael si muoveva col proprio aereo privato, Balbir viaggiava a fianco del tedesco. Quando invece Schumacher andava alle corse extraeuropee, Balbir viaggiava con i meccanici della squadra. In classe economica. Come dire che Michael Schumacher, nonostante quello che guadagnava, col personale stava molto attento alle spese. Solo l’addetta stampa Sabine viaggiava in business class, ma qui, si sa, è più facile incontrare i giornalisti per cui meglio tenere su l’immagine!
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