24 ore Le Mans, Jacky Ickx a ruota libera

Questo fine settimana si svolge una delle gare più attese dagli appassionati del motorsport: la 24H di Le Mans, giunta alla 85ª edizione.
Oltre al fenomeno di Tom Kristensen che l’ha vinta 9 volte e ha conquistato 5 podi, c’è un altro pilota che è stato per tanti anni beniamino degli italiani, avendo corso per la Ferrari negli anni 60′ e 70′, anche lui è stato uno “specialista” del circuito francese.
Una carriera sportiva davvero unica quella di Jacky Ickx, nato a Bruxelles il 1º gennaio del 1945.
Formatosi nel motociclismo, si dedicò poi alle gare per vetture turismo e monoposto di Formula 2. Debuttò giovanissimo nel Campionato mondiale di Formula 1 e nella massima serie corse fino al 1979 disputando 116 Gran Premi iridati, ottenendo 8 vittorie e 13 pole position. Vicecampione del mondo nel 1969, su Brabham, e nel 1970, con la Ferrari, è considerato uno dei migliori piloti di sempre a non avere vinto il titolo mondiale.
Ickx è noto soprattutto per la sua elevata versatilità e polivalenza, che gli hanno permesso di trionfare in discipline diverse: nel 1979 è stato campione della serie CanAm con la Lola, nel biennio 1982-83 si laureò campione del mondo Sport Prototipi, mentre sempre nel 1983 ha vinto la Parigi-Dakar. Il suo nome però resta particolarmente legato alla 24 Ore di Le Mans, vinta per 6 volte nell’arco di tredici anni, con vetture molto diverse tra loro.

L’abbiamo incontrato e abbiamo scoperto un saggio settantaduenne che non vive di ricordi, ha una sua visione molto particolare delle competizioni motoristiche e una sua filosofia.

 

Se siamo qui a parlare è perché ho avuto un angelo custode che era un bravo pilota, il destino ha voluto così, sono sopravvissuto. Oggi ho 72 anni e quando guardo indietro non penso tanto alle vittorie, ai sorpassi o ai rischi che ho preso, ma a come tutto questo è potuto accadere. Dietro c’era il lavoro di un team, fatto di tecnici e di meccanici, senza la loro applicazione e il loro sacrificio noi piloti non possiamo vincere. I riflettori sono per noi, ma c’è un lavoro nell’ombra che deve essere riconosciuto, dietro ci deve essere stato sempre un progetto che ha avuto la sua evoluzione. Il mondo delle corse è fatto troppo di individualità, ma se io ho potuto vincere quasi 50 gare con le sport prototipo, tra le quali sei volte a Le Mans, sfiorando i 400kmh sul rettilineo di Hunadieres, è soltanto perché ognuno aveva svolto con cura e precisione il proprio lavoro. Correre con la Porsche è stato come avere una assicurazione, una garanzia di non fermarsi mai. Di questo non si parla abbastanza. Quando ci ritroviamo tra vecchi piloti, trovo che essi si vantano troppo soltanto dei propri risultati, invece dovrebbero di più pensare a come ci sono arrivati. Non smetterò mai di dire che “Sei quello che sei soltanto perché ci sono altre persone che pensano e lavorano” è diventato un mio motto. Questo non vale soltanto per il mio sport ma succede nella vita di tutti i giorni, non riflettiamo mai che tutto ciò che facciamo quello di cui beneficiamo è grazie al lavoro di qualcuno. Le ingiustizie nel mondo ci sono anche per questo, tutto è troppo scontato. Io oggi vivo molto in Africa e ho preso ancora più consapevolezza di ciò, quando torno in Europa e vedo tutte le polemiche sugli emigranti, non le accetto, sono dei disperati in cerca di più fortuna e chi li vuole cacciare non sa quanto invece è privilegiato.

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